A maggio 2014 con un euro si potevano acquistare 1,4 dollari. Molto comodo, vista per un abitante dell’Eurozona, in particolare per i viaggi e lo shopping negli Stati Uniti. E molto comodo per quelle imprese che importano prodotti e materie negli Usa o, in generale, prezzati in dollari.
Ma a metà marzo 2015, 10 mesi dopo, con quello stesso euro si potevano acquistare 1,04 dollari. Da 1,4 a 1,04, quindi. Uno zero di mezzo che corrisponde a una svalutazione dell’euro sul dollaro del 34%. Molto più comodo per le imprese dell’Eurozona che esportano negli Usa e/o in Paesi che utilizzano il dollaro come cambio di riferimento. Molto meno comodo per fare shopping in biglietti verdi o per acquistare un biglietto aereo verso la California o New York.
Oggi il cambio euro/dollaro viaggia a 1,06, ovvero il 30% in meno rispetto a maggio scorso. Ma dove andrà nei prossi mesi il cambio più scambiato nelle sale del Forex, il mercato finanziario più importante del globo con oltre 4mila miliardi di dollari di volumi al giorno (e di questi la maggior parte è indirizzata proprio verso il cambio euro/dollaro)?
Prima di rispondere, cerchiamo innanzitutto di capire perché il dollaro ha guadagnato così tanto nei confronti dell’euro (ma non solo, il dollaro si sta rafforzando in generale sulle principali divise del pianeta). Il motivo è semplice: gli Stati Uniti, dopo sette anni di astinenza, si apprestano ad alzare i tassi. E inoltre, dopo cinque anni di iniezioni monetarie attraverso tre manovre di quantitative easing, hanno smesso da novembre 2014 di “stampare moneta”. Sono le stesse operazioni che avevano permesso al dollaro di svalutarsi allegramente negli ultimi anni nei confronti delle principali divise (non a caso nel 2008 l’euro toccò addirittura il picco di 1,6 dollari).
Nei confronti dell’euro, poi, il recente movimento di apprezzamento del dollaro trova un’ulteriore spinta: mentre la Federal Reserve ha smesso di stampare moneta e si prepara a drenarne attraverso un rialzo dei tassi la Banca centrale europea, superati tutti gli ostacoli interni per mettere d’accordo 19 Paesi diversi che compongono l’Eurozona, ha cominciato solo un mese fa a “stampare moneta” lanciando il quantitative easing. Sappiamo che durerà almeno per 18 mesi e che in questo arco temporale la Bce stamperà 1.140 miliardi di euro che andranno ad acquistare titoli di Stato e titoli privati, per lo più oggi nelle mani delle banche.
La teoria di politica monetaria ci spiega quindi come mai il cambio euro/dollaro ha perso uno “0” per strada negli ultimi mesi, passando da 1,4 a 1,04. Ma cosa accadrà ora?
La posizione della Bce è chiara («qe» avviato almeno fino a settembre 2016), quella della Federal Reserve decisamente meno. Ed è questo che sta alimentando la volatilità sul cambio nelle ultime sedute. Si consideri che domenica sera era risalito a 1,1 dollari mentre oggi l’euro viaggia a 1,07, il 3% in meno in poche sedute.
I mercati hanno capito che la Fed alzerà i tassi di interesse. Ma non hanno capito quando li alzerà e in che misura. Ed è per questo che ogni volta che dagli Usa arrivano i dati sull’occupazione e l’inflazione, oppure parla qualche esponenete della Fed, il cambio si rivela decisamente elastico e sensibile ai commenti. Più cala la dissocupazione e più aumentano (di conseguenza) le prospettive di inflazione più il dollaro si rafforza in prospettiva di un più imminente rialzo dei tassi. Viceversa, quando arrivano dati deboli sul fronte dell’occupazione e dell’inflazione, tornano gli acquisti sull’euro, ma senza grandi scossoni dato che le politiche monetarie dei due Paesi sono segnate e fanno comunque da tappo a un forte riapprezzamento dell’euro.
«Il cambio si è portato sui minimi di periodo a ridosso di 1,04 dollari e adesso si mostra volatile - spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig -. Nelle ultime sedute ha provato a sfondare al rialzo la soglia di 1,105 ma questa si è rivelata una resistenza molto forte. Se dovesse superarla il mercato potrebbe entrare in una fase laterale per tutta l’estate. Dopodiché, il dollaro potrebbe tornare a rafforzarsi, con l’euro che potrebbe ritoccare 1,04 o addirittura andare verso la parità, a mano a mano che ci si avvicina all’appuntamento con il rialzo dei tassi che dovrebbe avvenire presumibilmente tra settembre e ottobre».
Quella del rialzo in autunno è al momento l’ipotesi più probabile. Ma non sono ancora esclusi colpi di scena, a giugno, o addirittura un ritardo al 2016. Questa seconda ipotesi, se fosse prezzata dal mercato porterebbe a un rafforzamento nel breve dell’euro.
Il terno al lotto sui tempi prosegue. Ieri il presidente della Fed di New York William Dudley e il governatore Jerome Powell hanno delineato la possibilità per la banca centrale Usa di un eventuale rialzo dei tassi prima delle attese per poi procedere in modo lento e graduale con ulteriori incrementi. I due esponenti non escludono quindi del tutto la pista giugno ed è per questo che oggi il dollaro si sta rafforzando (con l’euro sceso da 1,08 a 1,07).
L’altro punto da tenere in considerazione è che la Federal Reserve starebbe iniziando a far passare agli investitori il messaggio che non è eccessivamente preccupata per il rialzo del dollaro. Scenario che non priverebbe il dollaro della sua attuale forza ma spegnerebbe le ipotesi di chi “vede” un euro/dollaro nettamente sotto la parità entro un anno.
Ad oggi la mediana delle stime degli analisti raccolte da Bloomberg “vede” il cambio a 1,04 a fine anno e a 1,08 nel 2016. Insomma, la sensazione è che il botto al rialzo il dollaro - per via della divergenza di politica monetaria tra Usa ed Eurozona - lo abbia ormai già fatto. Nei prossimi mesi re sterebbero briciole di assestamento nell’area già testata di 1,04. O poco giù di lì. Ma, essendo la finanza imprevedibile, è sempre lecito avere dubbi in direzione contraria.
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