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Il finanziere e quei 10 miliardi da investire

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Il finanziere e quei 10 miliardi da investire

  • –Antonella Olivieri

Vivendi come Parmalat, con la differenza che la prima era già francese. Una public company con un tesoretto miliardario in pancia è destinata ad avere vita breve. E di fatto Vivendi ha definitivamente archiviato ieri la formula dell’azionariato frazionato sotto l’impulso del Governo di Parigi che ha allargato sulla media company transalpina la protezione della legge Florange, appositamente varata per premiare gli azionisti di lungo periodo e salvaguardare l’occupazione in Francia. Il voto doppio, che si applica automaticamente (a partire dall’aprile 2016), a meno che l’assemblea ci rinunci, consentirà a Vincent Bollorè, presidente da meno di un anno, di rafforzare la presa sul gruppo con il 18%-20% dei diritti di voto.

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a mozione presentata ieri dal fondo francese Phi, contro l’inserimento del voto doppio per i soci da oltre due anni, non ha raggiunto il quorum dei due terzi necessario per le delibere delle assemblee straordinarie, pur avendo ottenuto il sì del 50,05% del capitale presente. Al primo giro (il voto doppio si applicherà dall’aprile dell’anno prossimo) Bollorè potrebbe salire al 18%-20% dei diritti di voto, aumentando ulteriormente il suo peso man mano che maturerà l’anzianità su tutta la sua partecipazione che, in poche settimane, è salita dal 5% al 14,5% per un valore dell’investimento che, ai prezzi di Borsa attuali, sfiora i 5 miliardi. Ma con i suoi “alleati” nell’azionariato, già oggi l’imprenditore bretone può dire di aver blindato il controllo di Vivendi, o comunque di averne assicurata la stabilità per gli anni a venire. Tra i soci sui quali può contare ci sono Blackrock, secondo azionista con una quota vicina al 5% (e anche azionista di peso in Telecom e Telefonica), la Cdp francese con il 3,45% e i dipendenti del gruppo che, complessivamente detengono il 3,11%.

Contemporaneamente Bollorè ha rafforzato la sua influenza anche sul supervisory board con l’innesto, al posto di due consiglieri in scadenza, di “fedelissimi” come l’amico Tarak Ben Ammar, produttore cinematografico-televisivo e proprietario di emittenti tv, e Dominique Delport, il direttore generale di Havas, la società guidata dal figlio Yannick che già controlla. L’imprenditore di origine tunisina, che è anche consigliere di Telecom e Mediobanca, ha ottenuto il consenso del 96,95% del capitale presente in assemblea (più di Delport, che si è “fermato” al 94,02%), primo ingresso nel board di una società del Cac40 per un esponente del mondo arabo. Nel consiglio di sorveglianza, su 14 membri in totale, sono rappresentati anche i dipendenti del gruppo, con un raddoppio a due consiglieri (uno per i dipendenti-azionisti e uno per i dipendenti in generale) che è stato realizzato nel primo anno di presidenza Bollorè.

Non si può dire che l’uomo difetti di determinazione. Nell’azionariato di Vivendi Bollorè era entrato nel settembre del 2012 ottenendo una quota dell’1,7% in cambio di due canali televisivi, Direct 8 e Direct Star, che aveva conferito. Partecipazione subito arrotondata al 5,15% e oggi salita al 14,5%, qualcuno dice anche sotto la spinta della contestazione dell’hedge fund Usa Psam che reclamava la spartizione del tesoretto. Vivendi si è impegnata a distribuire dividendi per 6,75 miliardi da qui al 2017 e la cosa si è chiusa lì.

Alla presidenza Bollorè è stato nominato nel giugno dell’anno scorso dopo un breve “negoziato” con il precedente uomo forte di Vivendi, Jean-Renè Fourtou, che aveva avviato la politica di uscita dal settore delle tlc. Nel settembre del 2013 di fatto Bollorè si era candidato alla guida del gruppo, perchè non convinto delle strategie, e si era opposto all’arrivo come ceo del tedesco Thomas Rabe, proveniente dal gruppo Bertelsmann. Fourtou, che ieri sedeva nelle prime fila del teatro dell’Olympia nel quale si è tenuta l’assemblea, è diventato presidente onorario, lasciando la presidenza di Vivendi prima della scadenza naturale del 2016. Nel frattempo Bollorè lo ha proposto per il board di Generali, dove è stato cooptato nel dicembre del 2013, e presto - l’annuncio ufficiale è imminente - diventerà anche senior advisor per Mediobanca in Francia. Al posto di Rabe, a inizio 2014, è invece arrivato Arnaud de Puyfountaine, che ha lasciato la guida del gruppo Hearst e che in passato è stato anche consulente di Sarkozy.

Insomma, non ci sono dubbi che l’ultima parola su come spendere il tesoretto di Vivendi - oltre 10 miliardi di liquidità entro l’estate, prima della distribuzione dei dividendi - l’avrà Vincent Bolloré. La strategia è di concentrarsi sui contenuti dell’enertainment, facendo di Vivendi «il campione europeo», come ha ribadito ieri più volte in assemblea. Sul mercato si è parlato di Sky, Lagarder, Itv, Mediaset, ma le voci per ora sono state lasciate cadere. «Tutto è aperto, ma non commentiamo niente - ha glissato Bollorè - ma quel che è certo è che non ci fermeremo a Daily motion», la “youtube” europea che Vivendi sta trattando per rilevare da Orange (l’80% per 217 milioni). Chi l’ha incontrato dice che abbia intenzioni serie anche su Telecom, interessante per la media company transalpina come “piattaforma” distributiva. E anche il neo consigliere Tarak Ben Ammar è convinto del forte interesse di Vivendi per il Sud-Europa e anche per il Nord-Africa. Si vedrà: la partita è solo agli inizi.

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