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A Venezia occhi puntati sull’arte emergente

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A Venezia occhi puntati sull’arte emergente

Con un titolo come “All the World’s Futures” ci saremmo aspettati uno schieramento di giovani artisti per la 56ª Mostra Internazionale di Venezia firmata da Okwui Enwezor. Invece solo 12 su 136 tra gli invitati sono nati dopo il 1979, e non mancano nomi più che storicizzati come nella scorsa edizione di Massimiliano Gioni. Tocca ai padiglioni nazionali offrire spunti freschi sul contemporaneo e, perché no, occasioni d’investimento, dati i prezzi di partenza più accessibili dei giovani artisti. Ma come orientarsi?

Il primo consiglio è quello di guardare alle mostre monografiche, che offrono più spunti rispetto alle collettive intergenerazionali. Tra queste, subito spicca la nuova tendenza neo-materialistica che scomunica il punto di vista antropocentrico a favore di un interesse per le scienze naturali e gli effetti della tecnologia. A portare in Laguna questo spaccato dell’arte di oggi sono i padiglioni neozelandese e svizzero, con due testimoni già appoggiati dalla critica internazionale, rispettivamente Simon Denny (1980) e Pamela Rosenkranz (1979). Il primo, rappresentato in Italia da T293 da 10mila euro in su, propone una riflessione sull’emergere di un tessuto tecnologico scivoloso e poco trasparente verso l’utente finale. Rosenkranz, invece, le cui opere si trovano da Miguel Abreu e Karma International da 15mila fino a 300mila dollari, offre un universo di liquidi di ogni forma e colore — aspirina, acrilico, metilene, elastane, silicone e titanio — cui conferisce il potere di mettere in discussione la natura dell’essere umano, e di conseguenza quella dell’arte.

Ma la direzione artistica di questa Biennale ha riportato l’attenzione anche sulle questioni politiche e sociali. A partire dai nuovi padiglioni: Kosovo e Albania puntano rispettivamente su Flaka Haliti (1982) e Armando Lulaj (1980). Lulaj, che collabora con la galleria Paolo Maria Deanesi a prezzi di 20mila-30mila €, presenta “Albanian Trilogy”, tre video che ripercorrono le grandi menzogne del regime albanese durante la Guerra Fredda, allestiti davanti allo scheletro di una balena di 15 metri, vittima ignara ma assai visibile di una delle vicende. Più astratta ma non meno impegnata è Haliti, da Lambdalambdalambda a 5mila-20mila euro, che propone un’unica installazione immersiva, dove il blu dell’orizzonte diventa metafora atemporale del confine. Anche Filip Markiewicz (1980), scelto a rappresentare il Lussemburgo, s’ispira alle condizioni sociali, economiche e politiche del suo paese. La mostra “Paradiso Lussemburgo”, strizza l’occhio al visitatore con un gioco di parole e lo espone a un viaggio sentimentale con video, disegni e installazioni che ridefiniscono, non senza ironia, l’idea del paese. Artista ma anche musicista, performer e compositore, Markiewicz lavora con la galleria Aeroplastics che vende video e neon tra 3.500 e 6.000 euro.

Il genere e la questione delle minoranze, invece, torna nel Padiglione Estone di Jaanus Samma (1982), che tra un mese troveremo anche alla fiera Liste nella galleria Temnikova & Kasela a prezzi di 3mila-12mila euro per foto e installazioni. L’artista ricostruisce le peripezie sociali di un uomo condannato dalla società per i suoi gusti sessuali. Nella scorsa edizione della Biennale il premio per la migliore partecipazione nazionale andò a un artista emergente angolano, Edson Chagas (1977), fotografo dal taglio documentario; mentre il Leone d’Argento per un promettente giovane artista fu consegnato a Camille Henrot (1978), più sensibile alle questioni estetiche emergenti. Chi la spunterà stavolta?

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