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L’euro ha rialzato la testa sul dollaro: +10% in un un…

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L’euro ha rialzato la testa sul dollaro: +10% in un un mese. Scommettere sulla parità conviene ancora?

Nei primi mesi del 2015 ha funzionato più o meno così. L’euro perdeva quota nei confronti del dollaro e le Borse dell’area euro beneficiavano dalla svalutazione competitiva della valuta di Eurolandia. Nel frattempo il quantitative easing avviato a marzo dal governatore della Bce Mario Draghi (ma praticamente annunciato a fine gennaio) spingeva sui minimi storici i rendimenti dei titoli di Stato dell’Eurozona. Allo stesso tempo il super-dollaro contribuiva a tener basse le quotazioni del petrolio che a sua volta, alimentavano pressioni deflazionistiche, convincendo sempre più i mercati che la Bce andrà avanti con il quantitative easing, cioè con lo stampare soldi a beneficio dei titoli di Stato, creando una distorsione nel livello di rischio, spingendo quindi gli investitori a comprare più azioni per andare a caccia di rendimenti in uno scenario di tassi obbligazionari azzeranti.

Questo architrave finanziario si è un po’ inceppato a metà aprile, quando è partita una correzione degli eccessi creati nel primo trimestre. Questo dopo che dagli Usa è arrivato il pessimo dato sul Pil nel primo trimestre (cresciuto dello 0,2% anziché dell’1% come atteso) che ha spinto gli investitori a credere che la Federal Reserve rimanderà il rialzo dei tassi da giugno in autunno, o addirittura nel 2016.

Il violento sell-off (vendite) si è visto sul cambio euro/dollaro con l’euro che è tornato ad apprezzarsi di circa il 10%, passando da 1,04 a 1,14. Ma i movimenti più violenti si sono visti soprattutto sui titoli di Stato tedeschi con i decennali che eranno arrivati allo 0,049%, livelli razionalmente improponibile, soprattutto se rapportati ai tassi dei decennali statunitensi (2,3%) per uno spread tra Usa e Germania arrivano oltre quota 200 punti.

I tassi dei Bund sono saliti di oltre il 1.300% sfiorando lo 0,8%. I BTp a 10 anni hanno ritoccato il 2% (dopo aver raggiunto un minimo all’1,3%) e così via. Anche le Borse europee hanno vissuto una correzione dell’8%, mentre il petrolio tornava a quota 70 dollari. Le correlazioni del momento, insomma, si sono mosse tutte come da copione.

Con il cambio euro/dollaro a fare da architrave. Ma a questo punto è lecito chiededersi: che fine ha fatto l’ipotesi della parità tra le due divise? Ipotesi che nei primi mesi dell’anno andava di moda tra i gestori (e in effetti il cambio si è davvero avvicinato alla parità toccando un minimo da 12 anni a 1,049 dollari). Resta ancora in piedi nello scenario attuale, quantomai incerto sulla tempistica di un rialzo dei tassi negli Usa?

«Non è giustificabile l'apprezzamento dell'euro (da 1,06 a 1,14 tra il 20 aprile e il 15 maggio). La Bundesbank e la Bce continueranno a comprare asset con costanza ogni settimana e, a maggio, se l'offerta netta di Bund dovesse eccedere lievemente gli acquisti del PSPP, questa sarebbe un'eccezione - spiega Eric Chaney, chief Economist Axa group & head of research Axa Im -.A meno che banche ed assicurazioni non dovessero decidere di vendere i loro asset – cosa che non faranno per limiti regolamentari ben documentati – la scarsità di titoli tedeschi colpirà di nuovo i mercati, in particolare a giugno e luglio.
È probabile quindi che vedremo un'inversione di tendenza nel mercato dei Bund e nel cambio euro/dollaro nei prossimi mesi, visto che il differenziale di rendimento tra la Germania e gli Usa è uno dei fattori chiave che determinano l'andamento appunto del cambio. L'episodio di inizio maggio dovrebbe però rimanere ben vivido nella memoria del mercato, come un'illustrazione che in una situazione di bassa liquidità, la volatilità potrebbe essere molto alta».

«Rimaniamo positivi sul dollaro nell'orizzonte da qui a fine anno. La rapida correzione al ribasso a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane è legata a fattori in parte contingenti ed in parte tecnici, che offrono agli investitori una buona occasione per rientrare su questa asset class - commenta Massimo Terrizzano, Responsabile fondi di BNP Paribas Investment Partners». I fattori contingenti sono riconducibili al deludente andamento dell'economia statunitense, che ha reso più incerta la tempistica che la Federal Reserve seguirà nell'aumento dei tassi d'interesse. I fattori tecnici sono invece legati ad una presa generale di profitto sui temi d'investimento che avevano dominato la prima parte dell'anno: vale a dire la discesa dei rendimenti sui titoli governativi europei e la svalutazione dell'euro a seguito del Quantitative Easing condotto dalla Banca Centrale Europea. L'obiettivo della parità dollaro-euro è forse un obiettivo troppo ambizioso entro l'anno, ma un livello attorno ad 1,05 è ragionevolmente raggiungibile».

Per Massimo Siano, head of southern europe per Etf securities «l'ipotesi della parità è giustificata solo dal rialzo dei tassi negli Usa. Nel caso la Fed non rialzi i tassi potremmo supporre che il mercato prenda profitto sul biglietto verde e quindi lo svaluti. Se però i tassi della Fed saranno percepiti come in costante rialzo nei prossimi trimestri allora prepariamoci ad un rally del dollaro che potrebbe portarlo anche sotto la parità con l'euro. L'incertezza dei tassi americani in rialzo senza sicuramente porta l'investitore a non comprare dollari, dopo l'estate si potrebbero delineare dei segnali più chiari».

«Dai minimi di marzo, il dollaro ha conosciuto un notevole deprezzamento sulla scorta delle aspettative degli investitori che hanno posticipato l'aumento dei tassi da parte della Fed da giugno a settembre (se non oltre) - argomenta Andrea Menescardi, responsabile ufficio studi di Sofia Sgr-. Pensiamo che da qui in avanti possa instaurarsi una fase di assestamento che potrà perdurare fino a che non vedremo uno chiaro segnale da parte della Fed, ma non riteniamo del tutto tramontata l'ipotesi di un ritorno del cambio verso la parità entro fine anno. Sicuramente l'indebolimento dei dati macro statunitensi giustifica l'ipotesi di una Fed ancora dovish, ma la chiave di volta sarà come la banca centrale americana ha inglobato tali cifre all'interno della propria funzione di reazione. Insomma, ancora una volta è tutto nelle mani di chi gestisce la politica monetaria e dal timing dell'intervento, da cui dipenderà la ripresa di quella direzionalità a cui il cambio euro-dollaro ci aveva abituato da un anno a questa parte».

Secondo Vincenzo Longo, strategist di Ig «I dati macro deludenti che arrivano dagli Stati Uniti dipingono un'economia che fatica a riprendersi dopo la frenata accusata nel primo trimestre dell'anno. Queste figure dovrebbero allontanare il timore di un rialzo dei tassi di interesse da parte della Fed e indebolire così il dollaro. Un appuntamento chiave sarà ora la seconda lettura del Pil del 1° trimestre (in agenda il 29 maggio), che dovrebbe essere rivisto in negativo. Con il miglioramento dell'economia nella seconda parte del 2015 e l'avvicinarsi del rialzo dei tassi della Fed, probabilmente il dollaro tornerà a rafforzarsi;
i segnali di ripresa che giungono dalla zona euro (affiorati dalle recenti figure sul Pil) stanno rafforzando la moneta unica; anche il petrolio fa la sua parte. Il balzo delle ultime settimane ha riportato i prezzi ai massimi da novembre scorso. Questo ha spinto molti operatori a rivedere le aspettative inflattive di medio lungo termine, causando pesanti vendite sul mondo del reddito fisso. Non solo. L'aspettativa di un inflazione più alta ha creato timori tra gli operatori per una politica monetaria meno accomodante. Questa considerazione, sebbene interessi tutte le banche centrali, ha avuto effetti più marcati sull'euro, le cui aspettative del mercato puntavano a un QE che durasse almeno sino a settembre 2016. Nel breve, ci aspettiamo che il petrolio possa continuare a salire e questo dovrebbe accentuare i movimenti visti negli ultimi giorni. Dove saremo a fine anno? Probabilmente tutti questi effetti rientreranno e il cambio tornerà a mettere pressione ai minimi visti a marzo a (1,04). La parità potrebbe essere raggiunta entro il primo trimestre del 2016».

Il tema della forza del dollaro resta dominante per Paul Lambert, gestore del fondo Absolute insight currency fund (Gruppo Bny Mellon): «Il nostro scenario di base prevede che la forza del dollaro Usa sia destinata a proseguire ancora a lungo. Il recente indebolimento ha spinto molti investitori a chiedersi se non sia iniziata una fase di correzione che anticipi una fase negativa per il biglietto verde. Guardiamo però ai precedenti storici: solitamente, dagli anni '70 a oggi, le fasi “toro” del dollaro si sono protratte per circa 5 anni, con un rafforzamento medio del 20%. Alla fine degli anni '90 l'aumento è stato addirittura del 50%. Oggi il dollaro ha ancora molta strada da fare, anche solo per avvicinarsi alle medie passate. La forza del dollaro è giustificata dallo stato di salute dell'economia Usa. Gli Stati Uniti resteranno la star globale con una crescita di gran lunga superiore a quella delle altre economie avanzate, e anche rispetto alla media globale del 3%. Ovviamente bisogna considerare nel quadro complessivo gli effetti delle politiche monetarie. Anche se non si tratta di un obiettivo esplicito, sia il Giappone sia l'Eurozona hanno bisogno di valute più deboli per stimolare la crescita. Invece, rispetto ad altre economie, l'America è meno dipendente dalle esportazioni, che incidono soltanto per il 16% sul Pil. Per questo è in grado di generare una crescita autosufficiente e il dollaro può fungere da “valvola di sicurezza” nella guerra globale delle valute. Per quanto riguarda la Fed, pensiamo che inizierà a rialzare i tassi di interesse verso la metà dell'anno. Una decisione del genere sarebbe in linea con il loro duplice mandato di raggiungere la piena occupazione e la stabilità dei prezzi. Il periodo di tassi di interesse negativi in atto sin dal 2009 è decisamente atipico. Nei cicli precedenti, i tassi sarebbero già stati fissati a livelli più alti».

Anche Claudio Barberis, responsabile asset allocation di Moneyfarm.com, crede ancora nella parità: «La parità tra euro e dollaro nei prossimi anni resta a nostro avviso una possibilità per via non solo della divergenza delle politiche monetarie (che conta soprattutto nel breve e medio periodo) ma anche per un tema di global rebalancing e di dinamiche legate a flussi di investimento. Il rialzo dei tassi a lunga americani infatti è già in corso da oltre un anno, con livelli comunque più interessanti di quelli che gli investitori trovano in Eurozona».

Così come David Basola, Responsabile per l'Italia di Mirabaud am «Da parte nostra riteniamo che l'ipotesi del ritorno verso la parità nel cambio euro/dollaro nei prossimi mesi sia assolutamente plausibile. Oggi si è notato un rallentamento nel trend che si era manifestato a partire dallo scorso settembre, ciò detto i differenziali di crescita attesa tra zona Euro e Stati Uniti così come le diverse priorità a livello di politica monetaria ci portano a ritenere il ritorno verso la parità un fenomeno oggi interrotto, ma che rimane inalterato come tendenza».

Per Francesco Leghissa, Responsabile Ufficio Studi di Copernico Sim «nei prossimi mesi ci attendiamo un nuovo apprezzamento del dollaro in quanto la divergenza tra le politiche delle due banche centrali è destinata ad aumentare. La ripresa europea è molto timida, con grosse problematiche di occupazione legate a problemi strutturali irrisolti, mentre negli USA ci si aspetta che la normalizzazione dell'occupazione riporti anche i consumi».

Dal punto di vista tecnico «l'euro si trova, a nostro parere, in una fase correttiva all'interno di un più ampio movimento ribassista che ha accompagnato le quotazioni a partire da metà agosto. I nostri target di medio periodo si distribuivano intorno a 1.0400 e crediamo essi possano rappresentare il confine ribassista di una zona di congestione all'interno della quale potremmo stabilizzarci entro fine anno - spiega Matteo Paganini, chief analyst di Fxcm Italia -.Attendiamo il raggiungimento delle resistenze che passano tra 1.1550 e 1.1750, dove valuteremo la potenziale formazione di una divergenza ribassista tra prezzi e stocastici che, se formatasi, potrebbe riportare le quotazioni verso l'area indicata, all'interno della quale potremmo assistere a continui ribaltamenti di fronte fino a quando non si formeranno razionali aspettative sul timing relativo al rialzo dei tassi Fed (le quali potrebbero condurre a rivalutazioni del dollaro, che comunque non vediamo sopra la parità), a nostro parere posizionabili ancora verso fine anno (con possibilità di revisione, attualmente non necessaria ancora, verso l'inizio del 2016)».

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