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Carbon tax, è scontro tra i colossi del petrolio

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energia

Carbon tax, è scontro tra i colossi del petrolio

  • –di Sissi Belomo

Vienna - A due giorni dal vertice Opec, di petrolio a Vienna si è parlato soprattutto dietro le quinte. Sono stati i temi ambientali i protagonisti assoluti del dibattito che ha animato l'Opec Seminar, conferenza che mette a confronto produttori e consumatori, con la presenza di ministri non solo dell'Organizzazione, ma anche di Paesi esterni, e con una folta rappresentanza delle major occidentali. A lanciare il sasso nello stagno erano state proprio queste ultime, con l'appello siglato da sei compagnie europee ad introdurre una carbon tax o un altro sistema per scoraggiare l'emissione di gas serra.

Tra i promotori e firmatari dell'iniziativa anche Claudio Descalzi, ceo dell'Eni. «È importante passare alle energie rinnovabili e al gas», ha spiegato al Sole 24 Ore a margine della conferenza e di una fitta serie di incontri di lavoro nella capitale austriaca. «Il punto è che ci deve essere un prezzo per l'anidride carbonica che viene emessa nel mondo. Ora però lo sta applicando solo l'Europa, che peraltro pesa solo per il 10% delle emissioni, e questo ovviamente non è equo. Quello che noi diciamo è che ci vorrebbe anche in Cina, in India, negli Usa una forma di tassazione che penalizzi i carburanti più inquinanti e sia uguale per tutti».

Il problema è che nel mondo del petrolio, che pure è responsabile di circa il 30% delle emissioni globali, non sono in molti a vederla così. La questione ha anzi scavato un solco profondo non solo con le major americane, che da Vienna hanno ribadito la loro contrarietà, ma anche a livello di istituzioni. L'iniziativa dell'Eni e di altre 5 major europee (Bp, Shell, Bg Group, Staoil e Total) ha ricevuto il plauso della Banca mondiale e ieri ha trovato una sponda anche nell'agenzia internazionale per l'energia (Aie): «Se non volete trovarvi a fronteggiare decisioni che non avete voluto, voi che siete in questa sala dovete far sentire la vostra voce» si è accalorata la direttrice dell'Aie Maria van der Hoeven, esortando compagnie e Paesi produttori di greggio ad assumere un ruolo attivo nei negoziati Cop21 sul clima, che si terranno a dicembre a Parigi. «Non c'è assolutamente nessuno scenario in cui petrolio e gas non giochino un ruolo cruciale nel soddisfare i bisogni di energia. E nessuno scenario in cui possiamo contenere le emissioni di gas serra senza il contributo del settore energetico».

La posizione dell'Opec non stupisce. Tutti d'accordo sulla necessità di contenere la Co2, «ma dobbiamo stare attenti a come implementiamo le carbon tax - ha avvertito il segretario generale Abdullah El Badri - In questo momento non credo funzionino». Il ministro saudita Ali Al Naimi se l'è cavata con l'ironia: «Credo che il solare farà grandi passi in avanti. Vi assicuro che l'Arabia Saudita lo svilupperà così tanto che nel 2040 esporteremo non solo combustibili fossili, ma anche un sacco di megawatt di elettricità».

I veri ossi duri sono comunque gli americani. Come Rex Tillerson, ceo di ExxonMobil, che difende il compito “morale” di sviluppare ogni fonte di energia in un mondo in cui 1,3 miliardi di persone non hanno accesso all'elettricità, e come il ceo di Chevron, John Watson, il più tranchante ieri: «Dare un prezzo alle emissioni di Co2 non è una soluzione. È desiderio di miliardi di persone uscire da uno stato di povertà energetica e non dovremmo far salire artificosamente i costi dell'energia. Dobbiamo essere sicuri di sviluppare più gas, ma anche il nucleare dovrebbe essere nell'agenda se fossimo seri nella volontà di combattere il climate change».

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