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Perché il Super dollaro comanda sui mercati (e come andrà a…

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guerra delle valute

Perché il Super dollaro comanda sui mercati (e come andrà a finire con l’euro)

Con un euro è possibile oggi acquistare 1,12 dollari. Un anno fa se ne acquistavano 1,4. La rivalutazione del dollaro nell’ultimo anno è quindi nei fatti. Di recentee però, nonostante la Bce stia proseguendo nel piano di quantitative easing e nonostante la Federal Reserve si appresti entro fine anno ad alzare i tassi, l’euro si è rafforzato ed è risalito rispetto ai minimi di 1,04 dollari toccati a fine marzo.

La domanda che molti si pongono è se il cambio tornerà su questi livelli, se addirittura scenderà ulteriormente (in parità o anche sotto) oppure se l’euro è destinato a rafforzarsi e magari a superare la soglia di 1,2. Quest’ultima opzione farebbe certo felici gli Stati Uniti che nella prima parte del 2015 hanno sofferto i continui rafforzamenti del dollaro e non lo stanno certo nascondendo come sarebbe emerso da alcune dichiarazioni (seppur smentite) del presidente Barak Obama, che avrebbe detto che è il dollaro sui livelli attuali «è troppo forte».

Al di là della facciata, nel mondo globalizzato avere una valuta più debole delle altre può aiutare e questo spiega la guerra delle valute in corso e le dichiarazioni che arrivano dagli Stati Uniti, che cercano di spingere in su l’euro e riabbassare la quotazione del dollaro, che nell’ultimo anno si è rivalutato non solo sulla divisa continentale ma sulle principali valute del pianeta (yen, sterlina, ecc.). Va anche detto che un dollaro troppo forte non piace neppure alla Cina il cui renmimbi è tecnicamente agganciato al bigliette verde.

Quindi, come andrà a finire adesso che pare che la Grecia e i creditori internazionali stiano andando nella direzione di un accordo (il che dovrebbe rafforzare l’euro), ma allo stesso tempo stanno emergendo chiari segnali di solidità dall’economia statunitense tali per cui c’è davvero da aspettarsi uno, se non due, rialzi dei tassi negli Usa (e sarebbe la prima volta dal 2006)?

Gli analisti di UniCredit ipotizzano che nel breve periodo l’euro possa anche tornare a 1,2. Altri analisti invece ipotizzano che a fine anno il cambio possa riavvicinarsi alla parità, nonostante i tentativi degli Usa di svalutare il dollaro a colpi di dichiarazioni. Le opinioni degli esperti quindi non sono unanime, tra chi è positivo sull’euro e chi è positivo sul dollaro balla un 20% di differenza.

Visione non estremamente ribassista per l’euro anche da parte di Marco Piersimoni, senior portfolio manager di Pictet asset management: «La parità del cambio €/$ richiederebbe uno scenario macroeconomico americano molto diverso da quello prospettato dal Fomc nelle recenti proiezioni economiche. L'economia americana dovrebbe crescere del 2% nel 2015, una previsione ridotta di oltre mezzo punto percentuale rispetto a quanto comunicato a marzo: una revisione al ribasso davvero significativa. I fattori macro/fondamentali per la parità sono meno convincenti rispetto ad inizio anno. A questo si aggiungono fattori di mercato: di fronte alla crisi greca, la valuta americana ha perso il ruolo di bene rifugio. Molteplici possono essere le cause: nel medio termine il mercato potrebbe iniziare a prezzare un Euro più forte senza Grecia, mentre nell'immediato logiche di flussi o di possibili risposte Fed (rinvio del rialzo tassi, manovre espansive) all'incidente europeo possono tenere il dollaro sopra 1,10».

Una cosa è certa: più verrà rimandato il rialzo dei tassi e più questo si avvicinerà all’eventuale fine del quantitative easing della Bce (prevista in teoria a settembre 2016) meno evidente sarà l’impatto di inversione di politica monetaria da parte della Fed e quindi meno strappi dovrebbero esserci per le valute.

«La tempistica relativa al primo rialzo dei tassi da parte della Fed continuerà a fare da cuscinetto sulla traiettoria generale del dollaro. Mano a mano che si avvicina il rialzo, il mercato dovrà scontare una contrazione dei bilanci della Fed. Più si attende per il rialzo, più il rapporto euro/dollaro scenderà poiché lo sconto potrà misurarsi con la fine del qe della Bce - spiega Martin Enlund, chief analyst di Nordea -. Nel breve termine, l'azione del prezzo dei rapporti tra il dollaro e le altre valute (come, ad esempio, il rapporto dollaro/yen) sono di aiuto ad un mercato che ha voglia di scontare una contrazione dei bilanci, come è accaduto ultimamente con l'appiattimento della curva e con un calo delle attese sull'inflazione, seppur lieve. L'ultimo commento della Fed è coerente con l'intento della banca centrale di cercare di guidare il mercato a prepararsi ad un primo rialzo dei tassi, anche se la tempistica è ancora incerta. Notiamo anche che il consueto schema del rapporto Euro/Dollaro prima dell'aumento dei tassi da parte della Fed nei cicli del 1994, 1999 e 2004 suggerisce un ulteriore calo del 3,5% tra il momento attuale, ad esempio, e un decollo nel mese di settembre».

Estendendo l’orizzonte a 12 mesi la parità diventa probabile secondo Thomas Sartain, gestore obbligazionario di Schroders: «Riteniamo che la parità tra euro e dollaro sia probabile nei prossimi 12 mesi. L'attuale ritracciamento del cross segnala una correzione di una posizione ben definita nel mercato. La realtà di uno scenario caratterizzato da tassi sui depositi negativi continuerà a sostenere le ragioni di chi rialloca i propri investimenti allontanandosi dalla moneta unica. La Fed sta segnalando che più in là nel 2015 darà avvio a una graduale normalizzazione della politica monetaria. Con il rafforzamento dell'economia a stelle e strisce nel secondo semestre dell'anno, probabilmente la parte breve della curva dei rendimenti americani inizierà a prezzare un maggiore premio al rischio, fenomeno che si accompagnerà a nuovi flussi di capitali sul dollaro».

Per Massimo Siano, head of southern Europe di Etf Securities «il mercato scommette sul rialzo dei tassi negli Stati Uniti ed il default delle obbligazioni greche che potrebbero comportare ulteriori aiuti monetari della Bceal sistema, non soltanto alla Grecia. Se le scommesse saranno confermate potremmo assistere ad un eur/usd ben più basso di 1,14, direi verso la parità entro fine anno».

Un ruolo chiave lo avranno i prossimi dati macro americani. «Sarà particolarmente importante il dato sulla crescita del Pil degli Stati Uniti durante il secondo trimestre. Da questo punto di vista, il mercato e gli economisti si aspettano un rimbalzo dopo il dato negativo del primo trimestre - spiega Giovanni Daprà, ad di MoneyFarm -. Se questo rimbalzo non dovesse materializzarsi, l'euro potrebbe continuare a riprendersi contro il dollaro americano. Sempre per quanto riguarda i dati economici americani, saranno da monitorare gli indicatori relativi al mercato del lavoro. Se il trend positivo dovesse continuare, questo punterebbe a una maggior probabilità di rialzo dei tassi da parte della Fed e quindi fornirebbe supporto al dollaro americano. La parità non è da accantonare, però bisognerà aspettare che la Fed inizi effettivamente a rialzare i tassi d'interesse a settembre o dicembre».

Secondo Patrice Gautry, capo economista di Union bancaire privée – Ubp «il dollaro dovrebbe restare in un'ampia banda di oscillazione nel breve periodo e la Fed non ha fretta di rialzare i tassi d'interesse.Il dollaro è poi in un trend secolare al rialzo. Inoltre, la divergenza in termini di politica monetaria tra la Fed e la Bce dovrebbe favorire il biglietto verde, sostenuto anche da una crescita più solida negli Stati Uniti. Infine, in questo contesto, il dollaro dovrebbe continuare ad apprezzarsi contro tutte le divise dei Paesi sviluppati ; la parità di 1 a 1 dell'euro/dollaro resta un target ragionevole e il dollaro potrebbe addirittura apprezzarsi ulteriormente nei prossimi anni».

Paul Lambert, gestore per il grupo Bny Mellon non ha dubbi: «Crediamo che l'indebolimento del dollaro rappresenti solo una correzione temporanea in un più ampio trend di rafforzamento. La forza del dollaro sarà determinata principalmente dal miglioramento dei dati economici negli Stati Uniti, ora che i fattori temporanei che hanno contenuto la crescita nel primo trimestre dell'anno iniziano a dissiparsi. Crediamo che la divergenza tra le politiche monetarie negli Usa e in Europa e nel resto del mondo favorisca il biglietto verde rispetto alle altre valute».

Da non sottovalutare la differenza di rendimento tra Usa e Germania a breve termine, lo spread tra Stati Uniti ed Eurozona, che non va dimenticato nell’analisi prospettica sull’andamento delle valute: «Il dollaro americano è sempre stato considerato la moneta rifugio, da comprare ogni qual volta si palesa una crisi finanziaria e non solo, ma negli ultimi mesi è tornato a prevalere uno degli aspetti fondamentali che muovono il mercato dei cambi: il differenziale di rendimento sulle scadenze a breve termine. L'ultima riunione del Fomc ha ribadito che la politica di tassi a zero può considerarsi esaurita, ma la crescita, forse complice anche del forte rafforzamento della valuta americana, non è così consistente come ci si poteva aspettare - spiega Francesca Cerminara, responsabile bond e valute di Zenit sgr -. Il rialzo dei tassi Usa ci sarà probabilmente già nell'ultimo trimestre di quest'anno, per poi arrestarsi e monitorare nuovamente gli indicatori macro, mentre dall'altra parte dell'oceano la politica monetaria è altrettanto chiara, liquidità e supporto per molto tempo. Questi differenti atteggiamenti, ormai metabolizzati, è probabile si tramutino nel breve periodo in un trading range all'interno del quale si muoverà il cambio euro-dollaro. Su un orizzonte più lungo, se i primi rialzi dei tassi non fermeranno la ripresa statunitense che continuerà a creare occupazione ed inflazione, a fronte di un'Europa che per i prossimi anni dovrà ricostruire delle basi economiche più solide, la parità tra le due monete non è sicuramente da escludersi. Scenario diverso va invece ipotizzato qualora l'opzione più estrema di un'uscita della Grecia dall'Unione si verificasse; la parità potrebbe essere più vicina di quanto si pensi, perché non esiste miglior bene rifugio del biglietto verde».

Secondo Andrea De Gaetani, gestore di Bnp Paribas investment partners, «l'atteggiamento prudente da parte della Yellen ha indubbiamente impattato il cambio euro/dollaro. Pur riconoscendo il miglioramento dell'economia , ha sottolineato la debolezza degli investimenti e l'inflazione che fatica a raggiungere il target. Questo ha contribuito a raffreddare parzialmente le aspettative del mercato rispetto alla data del primo rialzo dei tassi, tendenzialmente attesa per settembre. Riteniamo tuttavia che nel medio termine il biglietto verde abbia ancora margini di apprezzamento, visto che a livello fondamentale le differenze nel ciclo economico tra Stati Uniti ed area euro rimangono marcate. Pur essendo stato ribadito che i rialzi saranno graduali e dipendenti dai dati macroeconomici americani via via pubblicati, riteniamo che già nel 2015 assisteremo ad un primo rialzo da parte della Fed e questo potrebbe riportare il cambio su livelli vicini alla parità. Nel breve periodo riteniamo che anche le turbolenze dell'area euro legate alla crisi greca impatteranno il livello del dollaro. In momenti di elevata avversione al rischio sui mercati è ragionevole aspettarsi una volatilità elevata anche sul mercato dei cambi, per i quali è tuttavia difficile stabilire una direzione ben definita».

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