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Accenture: «Dalle aggregazioni può nascere un terzo polo bancario»

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Il consolidamento bancario in Italia è l’occasione per creare un terzo polo sufficientemente forte da porter competere a livello europeo e altri due attori di taglio più nazionale. Questa la strategia a cui si potrebbe puntare, secondo Alberto Antonietti, managing director Accenture Strategy - financial services lead, con cui il Sole 24 Ore ha tentato di delineare gli scenari futuri del sistema bancario itialiano in vista delle aggregazioni attese dal mercato.

«I fattori che dovrebbero essere presi in esame per un’aggregazione sono innanzitutto, viste le richieste del regolatore, la complementarietà in termini di capitale e di profilo di rischio, per poi focalizzarsi sui più tradizionali elementi quali la compelementarietà a livello geografico, in termini di modello operativo/competenze e non ultimo la compatibilità a livello manageriale. Infine sarà necessario che gli storici azionisti delle Popolari e i nuovi che saranno chiamati a rafforzare la governance delle stesse, affrontino la tematica con l’obiettivo di rendere più forte e competitivo il sistema nel suo complesso, superando le logiche territoriali che potrebbero ostacolare la nascita di nuovi player sufficientemente robusti » sottolinea Antonietti.

D’altra parte il momento sembra anche propizio per guardare avanti: «Il primo trimestre del 2015 ha dato segnali incoraggianti per il sistema bancario nel complesso, che ha visto una ripresa dei ricavi trainata dalle commissioni del risparmio gestito e dei ricavi del trading, spinti dalle manovre espansive della Bce. Inoltre si è ridotto al 20% il peso delle rettifiche che nel picco sono state al 48%» commenta Antonietti in base all'Osservatorio Banking di Accenture. In questo contesto ci sono istituti che possono giocare il ruolo di poli aggreganti, come Ubi Banca, Banco Popolare, Bper e Bpm perché hanno avuto un risultato migliore in occasione degli Aqr e degli stress test della Bce.

Ci sono poi altri sei istituti che saranno certamente coinvolti nel consolidamento ma non con ruolo da attori protagonisti: Banca Mps, Banca Carige, Credito Valtellinese, Banca Popolare di Sondrio, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. «Dalle aggregazioni dovrebbe nascere, in primo luogo, un player, che possa ridurre le distanze che ora esistono fra i primi due gruppi bancari italiani e gli altri istituti. Questa operazione non può prescindere da Banca Mps, per le dimensioni dell'istituto» spiega Antonietti, che aggiunge: «l'istituto senese dal punto di vista industriale ha vissuto un turnaround senza precedenti con una forte riduzione dei costi e una crescita significativa delle performance commerciali. Attualmente ha un rapporto costi/masse gestite tra i più efficienti in Europa. Inoltre ha già rettificato le sofferenze in portafoglio per il 65,3%, sebbene il volume ingente dei crediti deteriorati innalza il profilo di rischio di un potenziale deal». Banca Mps potrebbe andare in sposa a Ubi, rispetto alla quale conta dimensioni di una volta e mezza dal totale dell'attivo al numero dei dipendenti. Questo naturalmente porrebbe diversi problemi, a cominciare dalla governance. Nascerebbe, però, in questo modo un gruppo da 307 miliardi di attivo, «sempre meno della metà di Intesa Sanpaolo ma di dimensioni comunque sufficienti per competere al meglio nel nuovo campionato disegnato dalle regole Bce» commenta Antonietti. Diversi, comunque, i nodi da sciogliere: dalle rettifiche ancora da scontare nei prossimi anni da parte di Mps al concambio fra le due banche, che possa non essere troppo diluitivo per i soci Ubi. Inoltre «l’operazione creerebbe inevitabilmente un eccesso di capacità in termini di persone, non facilmente assorbibile con le tradizionali modalità di esodo, già stressate negli ultimi anni. Proprio per questo motivo sarà cruciale progettare operazioni innovative in termini di modello operativo per massimizzare le sinergie di costo» spiega Antonietti.

Se Ubi conquistasse Siena, potrebbe realizzarsi un asset Banca Popolare di Milano e Banco Popolare, che darebbe vita ad un gruppo «multiregionale italiano forte, con elevato livello di efficienza, una base di clientela affluent e un posizionamento sul territorio italiano invidiabile» commenta Antonietti. Peraltro il matrimonio sarebbe compatibile anche dal punto di vista manageriale, tanto che diversi pensano ad un gruppo guidato nel ruolo di ceo da Giuseppe Castagna, attuale ad di Bpm, e nel ruolo di presidente da Pier Francesco Saviotti, attual ad del Banco. E proprio quiest’ultimo aveva definito come «un sogno» l'aggregazione con Milano. Anche in questo caso, comunque, l’incognita sarà nell'azionariato: se il Banco, infatti, è prevedibile che abbia un nocciolo di azionisti di riferimento fra imprenditori e Fondazione Cariverona, per Bpm non è ancora chiaro se ci saranno soci di riferimento. A rigurado lo stesso Castagna aveva dichiarato a maggio: «quando troveremo un partner sapremo a chi rivolgerci per creare un nocciolo duro che possa accompagnarci nel compimento del piano», lasciando intendere che qualche primo contatto c'è già stato.

Se davvero fosse questo il quadro, la terza operazione nel comparto bancario avrebbe come polo aggregante Bper. «L’istituto, che è ben posizionato per giocare un ruolo importante da aggregatore, potrebbe cogliere l’occasione per potenziare la propria presenza nel Nord Italia. In questa direzione vi sono diverse opportunità (Lombardia, Veneto, Valtellina, Liguria) con differenti profili di rischio/complessità dell'operazione» spiega il managing director di Accenture Strategy, che aggiunge comunque che «per creare un gruppo di dimensioni rilevanti potrebbe essere necessaria una fusione a tre, da operare in fase successive».

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