Finanza & Mercati

Quei primi sintomi di contagio a Piazza Affari

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L'ANALISI

Quei primi sintomi di contagio a Piazza Affari

A giudicare dalle reazioni dei BTp e dei Bonos spagnoli, sarebbe eccessivo sostenere la tesi del contagio dalla tragedia greca. Ma, osservando il comportamento di Piazza Affari, i sintomi di una iniziale contaminazione si vedono già. Se di contagio davvero si tratta, occorre precisare che il virus è questa volta di natura diversa da quello sperimentato 4 anni fa; quanto meno, quello era un batterio che s'era propagato quasi solo sui mercati finanziari e s'era alimentato nella speculazione che il debito dei cosiddetti Paesi periferici non fosse sostenibile. L'integrità dell'euro non era in discussione e tanto meno lo era l'idea politica dell'Europa che, anzi, nei desideri dei più avrebbe dovuto uscire rafforzata da quella crisi. C'è una mutazione nel virus, perché adesso attacca la politica dei governi e dei partiti e soprattutto le coscienze dei cittadini. Nel 2011 c'era voglia di più Europa e di una maggiore integrazione politica; oggi, pur nelle diverse sfaccettature di questa quasi generale disaffezione, la voglia è di disfare l'intera costruzione.

Il contagio finanziario non c'è, o è minimo. Lo spread del BTp è salito di qualche punto e resta comunque sotto il livello di 8 giorni fa. In ogni caso è aumentato meno di quello del Bonos. Solo per il titolo portoghese s'è notato un divario più ampio. È logico: fintanto che la Bce e le altre banche centrali comprano titoli sul mercato, difficilmente assisteremo ai differenziali nei rendimenti di 4 anni fa. E poi, c'è sempre l'ipotesi dormiente dell'Omt, che però è una extrema ratio. Se lo spread del BTp dovesse superare il 2-2,5%, o se il rendimento del BTp valicasse la soglia del 3% (come ipotizza Citi), Draghi interverrebbe ancor più pesantemente. Ma se non si vedono perdite consistenti nei prezzi dei titoli di Stato italiani, che ingombrano i portafogli delle banche domestiche, perché mai i titoli finanziari di Piazza Affari perdono il doppio di quelli europei, come è stato lunedì e come in parte s'è riproposto ieri? Forse perché, con un mercato dei bond (felicemente) manipolato dalla banca centrale, gli umori degli investitori possono solo scaricarsi sulle Borse. E perché su quella italiana in particolar modo?

Una risposta immediata è che l'Italia è il Paese economicamente più fragile tra i periferici, perché è reduce da una lunga recessione e perché il suo debito è oltre il 130% del Pil. Il secondo Paese più vulnerabile sarebbe il Portogallo. Ma in Italia la crisi dei debiti sovrani (sicuramente esacerbata da una valuta che non permetteva svalutazioni competitive) s'era sommata a una crisi del proprio sistema industriale iniziata già alla fine del secolo scorso e che ha finito per distruggere circa un quarto della capacità produttiva del Paese. Così, l'Italia è oggi la nazione in cui l'ostilità alla moneta unica e all'Europa sono diventate preponderanti.

Lunghi anni di recessione e di speranze tradite verso una Europa comune hanno mutato le coscienze dei cittadini, specie dei più giovani. Questa disaffezione è stata cavalcata da diverse e opposte forze politiche: dal movimento 5 Stelle, alla lega di Salvini e di una parte di Forza Italia, dalla destra di FdI alla sinistra di Sel e di una costola dello stesso Pd (ovviamente dei fuoriusciti). Se si dovesse tornare alle urne o nell'ipotesi (impraticabile) di un referendum, il no all'euro sarebbe maggioritario. Sarebbe un rifiuto motivato da diverse e opposte argomentazioni: da chi rigetta una valuta a cui si attribuiscono per comodità tutte le colpe della debolezza italiana, a chi è stanco dell'austerità («teutonica») e invoca una maggiore spesa pubblica a chi, infine, non vuole più pagare per salvare le banche o per aiutare la Grecia. In questa confusione di idee, a sinistra come a destra, austerità e riforme diventano quasi sinonimi. Sicché anche quel timido processo riformista auspicato dal Fmi, e dal quale gli investitori internazionali s'aspettano una burocrazia più snella ed efficiente, un alleggerimento del bilancio pubblico, una più funzionante giustizia, lotta alla corruzione,un miglior sistema educativo, ossia un Paese più funzionante, rischia di incepparsi.

Il probabile fallimento della Grecia e la sua uscita dall'euro hanno finito per aumentare le tensioni e acuire le divisioni interne allo stesso Paese e tra i membri dell Unione, creando di fatto un clima di profonda instabilità politica che mina dalle fondamenta non solo l'euro ma la costruzione di un'Europa comune. Paradossalmente la Grexit, quietando la parte più pragmatica degli euroscettici, potrebbe favorire un poco le cose. Ma solo pre un breve periodo.

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