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Saipem subisce il primo «danno collaterale» della politica di Mosca

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Saipem subisce il primo «danno collaterale» della politica di Mosca

Saipem è solo la prima vittima di quella che non si può inquadrare come una controversia tra partner commerciali. Come sempre quando ci sono di mezzo la Russia e i gasdotti, la partita non è soltanto economica, ma anche - forse soprattutto - politica. O meglio, geopolitica. E le strategie di Mosca potrebbero provocare altri danni collaterali, dopo la rottura del contratto con la società italiana. All’orizzonte si intravvedono nuove difficoltà per Tap, la già contestatissima pipeline che dovrebbe portare in Italia il gas del Mar Caspio, e forse anche per la Grecia.

Nel risiko dei gasdotti Atene si sta prestando a reggere il gioco dei russi, a costo di guastare ulteriormente i rapporti con la Commissione europea. Ma alla fine potrebbe restare a bocca asciutta, perché - a prescindere dalle disavventure di Saipem - il Turkish Stream potrebbe non essere mai costruito.

Mosca assicura che i lavori per il gasdotto, sostituto del progetto South Stream, andranno avanti: Gazprom afferma che cercherà qualcun’altro a cui affidare la posa dei tubi nel Mar Nero, mentre il ministro dell’Energia Alexander Novak minimizza, parlando di «problemi tecnici che si stanno risolvendo». In realtà alcuni problemi potrebbero rivelarsi insormontabili, almeno nel breve periodo.

Per Atene sarebbe un duro colpo. Proprio ieri il ministro Panyotis Lafazanis, dell’estrema sinistra di Syriza, illustrava agli imprenditori locali i vantaggi dell’opera: la tratta greca, la South European Pipeline - progetto da 2 miliardi di euro che Mosca promette di finanziare per intero - creerà almeno 20mila posti di lavoro in Grecia, oltre a fruttare ricche entrate allo Stato, che ne sarà azionista al 50%. Al contrario, denuncia il ministro, il consorzio a guida Bp che sta costruendo il Tap «genera profitti per le compagnie, ma lascia poco o nulla al nostro Paese». «In questo periodo di crisi sarebbe ragionevole ottenere un po’ di supporto finanziario», ha aggiunto Lafazanis, che sta già trattando per ottenere maggiori compensazioni a favore delle comunità interessate dal transito.

Peccato che per raggiungere la Grecia il Turkish Stream, come dice il suo nome, debba prima attraversare la Turchia. E Ankara, dopo mesi di trattative, non ha ancora dato il permesso per la costruzione, né ha firmato i necessari accordi intergovernativi. Ed è ben difficile che lo faccia, quanto meno a breve. A un mese dalle elezioni politiche, che hanno cambiato la maggioranza, la Turchia non ha ancora un governo e comunque non riesce a raggiungere un accordo con Mosca sul prezzo del gas: una disputa che ora minaccia di portare in arbitrato internazionale. Finché le parti non si riconcilieranno Gazprom difficilmente avvierà i lavori della tratta offshore: ad affondare South Stream era stato proprio il temporeggiamento di un Paese di transito fondamentale (in quel caso la Bulgaria).

Infine ci sono difficoltà economiche. La costruzione di pipeline - soprattutto sottomarine, come quella in cui era coinvolta Saipem - è costosa. E Gazprom non se la passa bene: la sua produzione di gas è crollata, così come il volume e il valore delle sue esportazioni , il cui prezzo è indicizzato al petrolio. Le sanzioni internazionali, inoltre, stanno gravemente ostacolando il suo accesso al credito.

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