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Qual è il reale rischio di contagio della bolla in Cina sui mercati…

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l’opinione dei gestori

Qual è il reale rischio di contagio della bolla in Cina sui mercati europei?

La Borsa cinese aveva recuperato il 16% dal minimo di giugno (quando a sua volta aveva perso il 40% in tre settimane). La turbolenza sembrava finita e invece oggi è arrivata un’altra doccia fredda con un crollo dell’8%, il peggiore dal 2007. È evidente quindi che - nonostante gli interventi governativi a sostegno dei mercati - la situazione sui mercati finanziari cinesi non può dirsi del tutto archiviata. Continua a scottare.

Per gli investitori europei c’è da chiedersi quale può essere il rischio contagio. È evidente che l’impatto più immediato della burrasca cinese è sulle materie prime. Se l’economia cinese rallenta (sta comunque crescendo del 7% annuo, questo è bene ricordarlo) diminuisce di conseguenza la domanda del primo importatore mondiale di petrolio, di un grandissimo acquirente di oro, e così via.

Non a caso proprio le materie prime sono quelle che stanno soffrendo di più da quando il mercato azionario cinese è salito sulle montagne russe (ma nell’ultimo anno viaggia con un rialzo superiore al 100%, e anche questo è bene ricordarlo). La quotazione del petrolio ha perso il 20% in un mese, l’oro è scivolato da 1.200 verso 1.100 dollari l’oncia. Un’altra conseguenza immediata la si è vista sulle valute dei Paesi che basano il surplus proprio sull’export delle materie prime, come Canada e Australia.

Al momento per gli investitori europei il contagio c’è ma è limitato, con risvolti ancora da decifrare (ad esempio non è detto che un calo del prezzo del petrolio faccia male a Paesi importatori netti come l’Italia). Anche se la reazione delle Borse europee di oggi - che cedono oltre un punto percentuale nonostante l’indice Ifo tedesco abbia battuto le attese dimostrando che la crisi greca sia stata parzialmente digerita - fa riflettere.

Come la pensano gli addetti ai lavori?

«La volatilità della Borsa cinese ed i timori di rallentamento della crescita del paese asiatico producono gli impatti più significativi sulle materie prime - spiega Sergio Bertoncini, Strategist di Amundi sgr -. I comparti obbligazionari ed azionari dell'area euro risultano senza dubbio meno sensibili ai movimenti talvolta anche violenti dei mercati asiatici per molteplici ragioni: tra queste, il continuo miglioramento ciclico in atto, il sostegno della politica monetaria della Bce e anche il recente rientro dei timori legati alla questione greca».

Secondo Massimo Terrizzano, responsabile fondi di Bnp Paribas Investment Partners, «l'impatto che le borse cinesi possono avere sui listini europei non è un elemento da trascurare ed i meccanismi di trasmissione possono essere numerosi. Innanzi tutto, i ribassi cinesi sono un sintomo di instabilità del sistema finanziario di Pechino, che potrebbe mettere a rischio, o quantomeno rallentare, i piani di sviluppo interno, dai quali dipendono le sorti delle materie prime e dei produttori di beni capitali. In secondo luogo, l'instabilità va a ledere la fiducia di quella parte dei consumatori cinesi a più alto reddito, che sono i maggiori acquirenti di prodotti occidentali di alta gamma. Questi due elementi insieme potrebbero riaccendere i timori per un rallentamento delle economie europee e di nuove spinte deflazionistiche: timori che l'Europa sembrava fosse riuscita a superare».

Mette in guardia dalle conseguenze sui mercati globali Yves Ceelen, Senior Portfolio Manager, Balanced Mandates, Petercam: «Non direi che il listino azionario cinese è isolato. Dopo tutto, in questo mondo tutto è interconnesso. La Cina contribuisce per un terzo alla crescita economica globale. Un crollo dell'azionario cinese potrebbe pesare sulla fiducia dei consumatori cinesi, cosa che a sua volta impatterebbe sulla crescita economica. Data l'importanza del gigante asiatico a livello mondiale, non potrebbe essere escluso un effetto domino».

Per Fabio De Gaspari, Responsabile Asset Management di Invest Banca «il canale di trasmissione derivante da un possibile ulteriore crollo della Borsa cinese proviene dal venire meno della propensione al consumo del popolo cinese, se quest'ultimo dovesse essere nuovamente indebolito in termini di fiducia e perdite in Borsa. Mentre è evidente il calo delle materie prime e il drammatico impatto su alcuni settori a livello mondiale anche in Europa, i collegamenti finanziari sono meno stretti, seppure molte aziende abbiano investito in Cina. Il fatto che l'indice della materie prime che ha raggiunto minimi storici dal 2007 abbia trascinato con sé al ribasso molte valute ed asset emergenti, rischia seriamente di impattare il trend positivo degli asset europei, in particolare quelli rischiosi. Attualmente i mercati vedono i rischi di un possibile crollo della Cina come limitato ed eventualmente senza troppi rischi sistemici, anche se le dinamiche dei mercati emergenti stanno raggiungendo fattori di stress importanti. Alcuni Paesi sono più esposti finanziariamente ad aree geografiche in difficoltà, pensiamo ad esempio alla relazione Spagna-Brasile. L'Italia fortunatamente è in una situazione di maggiore chiusura, seppure alcuni titoli del lusso ad esempio siano più a rischio».

Secondo Salvatore Gaziano, direttore Investimenti di SoldiExpert Scf «quello che sta accadendo sui listini cinesi non si può trascurare del tutto, considerandolo un fenomeno le cui conseguenze non possono impattare anche su altre asset class. Come sappiamo sempre più da qualche anno le correlazioni sui mercati finanziari sono sempre più forti e incidono in modo più o meno forte su tutte le asset class. Lo stesso divieto delle autorità cinesi di operare al ribasso sta provocando delle conseguenze sui mercati poiché non basta alzare la riva perché un fiume (seppure “giallo”) che voglia tracimare non trovi altre uscite. E, infatti, la speculazione finanziaria ha trovato altri canali per coprire il rischio di questo mercato come dimostra negli ultimi giorni l'andamento di alcune materie prime (metalli preziosi, petrolio e rame) o delle valute dei paesi più ricchi di materie prime (dall'Australia al Canada)».

A parer di Jean-Sylvain Perrig, CIO di Union Bancaire Privée - UBP «il problema non è l'elevata volatilità, poiché l'elemento più importante è la direzione. Una elevata volatilità al ribasso è segnale di forti tensioni. Stiamo assistendo a qualcosa di simile a un crollo, per l'azionario cinese: gli investitori temono le possibili conseguenze per l'economia del gigante asiatico e, poi, per quella globale. I prezzi delle materie prime suggeriscono che la domanda cinese è debole, una conferma del rallentamento dell'economia. Le più basse quotazioni per il petrolio e per le materie prime potrebbero riaccendere i timori di deflazione per le economie sviluppate e obbligare così la Federal Reserve a ritardare il primo rialzo dei tassi di interesse».

Per Claudio Barberis, responsabile asset allocation di MoneyFarm Sim «la volatilità della borsa cinese ha impatto sui mercati globali, anche se indiretto, poiché è indicativo di una serie di debolezze che peseranno a lungo sull'area asiatica: eccesso di investimenti, alta leva finanziaria, crescita potenziale più bassa di quella vista negli ultimi decenni e non ancora prezzata dai mercati».

Per David Basola, Responsabile per l'Italia di Mirabaud am «l'effetto contagio di una eventuale prolungata volatilità della borsa cinese sia da considerare relativamente modesto. I fondamentali cinesi ed in particolare il mercato immobiliare stanno recentemente esprimendo dati positivi maggiormente significativi per l'andamento e le correlazioni dei mercati finanziari rispetto alla singola borsa cinese, che vede come principali attori proprio i piccoli investitori locali. La percezione di questi è stata spesso che la borsa fosse una sorta di gioco d'azzardo con una elevata possibilità di vincere, oggi si sta creando la consapevolezza di cosa rappresenti un investimento azionario.
l'effetto contagio di una eventuale prolungata volatilità della borsa cinese sia da considerare relativamente modesto. I fondamentali cinesi ed in particolare il mercato immobiliare stanno recentemente esprimendo dati positivi maggiormente significativi per l'andamento e le correlazioni dei mercati finanziari rispetto alla singola borsa cinese, che vede come principali attori proprio i piccoli investitori locali. La percezione di questi è stata spesso che la borsa fosse una sorta di gioco d'azzardo con una elevata possibilità di vincere, oggi si sta creando la consapevolezza di cosa rappresenti un investimento azionario».

Secondo Massimo Siano, head of Southern Europe per Etf Securities «l'impatto della forte volatilità della Borsa cinese impatterà poco a mio avviso poichè a livello mondiale le quote acquistabili di azioni di classe A cinesi annualmente sono limitate, la tempesta è in un bicchier d'acqua e l'acqua è praticamente tutta cinese».

Secondo Alfonso Maglio, del team gestione equity di Marzotto Sim «nonostante la borsa cinese sia ancora relativamente chiusa agli investitori stranieri, una volatilità cosi accentuata è sicuramente oggetto di attenzione. Quello che preoccupa maggiormente gli investitori internazionali è però la causa di tale volatilità, che non è spontanea e ciclica, bensì involontariamente indotta dalla propaganda svolta dal governo sulla popolazione affinchè si investisse in borsa. Molti cinesi si sono indebitati per comprare azioni (sono stati aperti 90 milioni di conti per 327 mld di dollari) il problema è che sulle prime correzioni del mercato sono partite le richieste di margin call con le conseguenze che stiamo vedendo. Tutto questo seppur non direttamente collegato alle altre asset classes aumenta sicuramente l'incertezza inducendo gli investitori a ridurre la propria esposizione alle classi di attivo ritenute rischiose: nello specifico azioni e debito governativo dei paesi periferici potrebbero rimanere sotto pressione. L'oro viste le sue caratteristiche di bene rifugio potrebbe risentire meno di tali dinamiche. In tale contesto le valute sono state le prime a reagire facendo registrare variazioni anche nell'ordine del 4% come ad esempio il Real brasiliano vs. dollaro».

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