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Il crollo del petrolio e le svalutazioni mandano in rosso Bp

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i conti di big oil

Il crollo del petrolio e le svalutazioni mandano in rosso Bp

La stretta congiunta di petrolio in ribasso, danni provocati dal peggiore disastro ambientale che si ricordi e crisi libica ha spinto Bp verso nuovi primati negativi. Il gruppo petrolifero guidato da Bob Dudley ha chiuso il secondo trimestre con una perdita di 6,3 miliardi di dollari che diventano utili di 1,3 miliardi se calcolati per “replacement cost”, ovvero l'indicatore preferito dagli analisti che esclude l’impatto delle partite straordinarie. Ma anche con questa metrica Bp paga un prezzo elevato alla crisi del barile, realizzando un profitto del 64% inferiore a quello incassato negli stessi novanta giorni dell’anno scorso, quando l’utile era stato di 3,6 miliardi.

I numeri hanno sorpreso gli analisti, convinti che la compagnia britannica fosse in marcia verso un profitto di almeno 1,7 miliardi. La ragione va cercata quasi interamente nella dinamica del prezzo del greggio, che dalla scorsa estate ad oggi è passato da 115 dollari ai 50 o poco più di questi giorni. Il gruppo si prepara al peggio, ovvero a un periodo lungo di valori al tappeto: «Il contesto globale è davvero difficile per la nostra industria, pare di essere ritornati al 1986 - ha detto Bob Dudley - Nelle scorse settimane il petrolio ha perso ancora terreno a causa dell’eccesso di offerta e dell’accordo iraniano. È corretto posizionare il gruppo verso un periodo prolungato di prezzi del barile ridotti». Il ceo lascia insomma intendere che la caduta non è ancora terminata e di conseguenza conferma una linea strategica non dissimile da quella assunta da altre major: ovvero riduzioni di costi e soprattutto di investimenti. Bp li taglierà del 13% oltre ad impegnarsi a raggiungere l’obiettivo di almeno 10 miliardi di dollari di nuove cessioni entro la fine dell'anno.

Il gruppo dell’energia di Saint James square, che pure si lecca le ferite con un balzo del 150% dei margini sul business generato dalle raffinerie e nel cosiddetto downstream , è comunque giunto a una svolta storica grazie all’accordo da 18,7 miliardi di dollari firmato con le autorità americane per il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon , che provocò la morte di 11 persone nell’aprile del 2010 (si veda Il Sole 24 Ore del 3 luglio). La tesi sorprendente di Dudley è che tale accordo costituirebbe una tutela, anziché esporre Bp al rischio di una scalata ostile: «Ora è meno probabile che qualcuno voglia acquisire Bp - sostiene il manager - Certamente non è nostra intenzione vendere».

Altre note dolenti per la società britannica arrivano dall’instabilità del Nord Africa, in particolare dalla Libia, e dal gettito della quota che possiede del gruppo russo Rosneft (19,7%). Bp ha messo a bilancio svalutazioni per 600 milioni di dollari generate dalla crisi di Tripoli e una secca caduta degli utili provenienti dal colosso energetico di Mosca.

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