Il dossier fusioni resta sul tavolo di Sergio Marchionne. L'amministratore delegato di Fiat Chrysler dovrebbe presentare al consiglio, che si riunisce a Londra domani, un'analisi dettagliata dei potenziali accordi con una serie di possibili partner; lo scrive il Detroit News, il quale cita «due fonti vicine al dossier» e inserisce fra i possibili candidati la General Motors, la Volkswagen e la Renault-Nissan. In piena operazione di quotazione della Ferrari (i documenti sono stati depositati presso la Sec la settimana scorsa) il manager italo-canadese non trascura dunque il prossimo e decisivo fronte di attività per Fca: quello della ricerca di un partner forte.
Il consiglio d'amministrazione di domani esaminerà e approverà i conti del 2° trimestre dell'anno, che non dovrebbero riservare grosse sorprese sul piano operativo: le difficoltà in Brasile e Cina sono state compensate dalle buone performance in Europa e Nordamerica. L'attenzione degli analisti sarà concentrata anche sul possibile impatto finanziario della vicenda dei richiami di vetture negli Usa e delle sanzioni decise dalle autorità di Washington.
Dopo le avance formulate da Marchionne nei mesi scorsi, l'unica risposta “formale” finora pervenuta - quella di Gm - è stata un secco «no»; lo stesso Detroit News scrive che già tre anni fa i vertici di Gm studiarono a loro volta numerose ipotesi di aggregazioni, dalle joint venture alle acquisizioni di marchi alle fusioni, concludendo sostanzialmente che il gioco non valeva la candela: troppi i rischi di problemi politici e antitrust, troppo alti i costi a fronte di sinergie incerte e lontane nel tempo. Marchionne è invece convinto - a detta del Detroit News - che l'unione di Gm e Fca porterebbe agli azionisti più benefici di fusioni con Volkswagen o Renault-Nissan.
Il manager italo-canadese non è l'unico ad essere convinto che Gm farebbe meglio ad accasarsi: il «Financial Times» ha suggerito ieri che il gruppo potrebbe essere un ottimo obiettivo per il finanziere Warren Buffett, il quale ha già una quota del 2,5 per cento. Riuscirà Marchionne a portare dalla sua parte una quota sufficiente di soci Gm? Il Detroit News ricorda che il maggiore azionista di General Motors, ovvero il fondo Veba gestito dal sindacato Uaw (che ha in portafoglio poco meno del 9%), non può schierarsi a fianco di un'eventuale offerta Fca anche se lo volesse: in base agli accordi del 2009 tra Gm e il Tesoro Usa, infatti, la quota del fondo deve votare «in proporzione agli altri soci»; il che gli renderebbe «difficile, se non impossibile, partecipare a un takeover ostile».
«Il problema di Marchionne - conclude il quotidiano - è di mandare in porto un'operazione da una posizione che gli analisti e i concorrenti percepiscono come debole. Fca è più piccola, ha più debiti e meno cash di Gm. La sua leadership sembra opportunista e un po' disperata».
Con gli impegni di investimento su Alfa Romeo e la gestione che continua a bruciare cassa, la posizione finanziaria di Fca resta in effetti quanto meno delicata. Non è un caso che siano tornate a circolare voci su una possibile cessione della Magneti Marelli, per la quale sono stati sondati sia partner industriali (alcune fonti fanno il nome della francese Faurecia, controllata dalla Peugeot) che possibili investitori finanziari. Si è parlato anche di Comau e Teksid come potenziali asset da monetizzare. L'accento posto più volte da Marchionne sulla necessità di arrivare a un consolidamento fa però pensare che una maxintesa non sia troppo lontana nel tempo.
John Elkann, presidente di Fca e guida della famiglia Agnelli che la controlla, si è più volte detto pronto a diluire la quota di Exor in Fca (attualmente pari al 30% circa del capitale e al 46,65% dei diritti di voto) nell'ambito di una fusione; al tempo stesso ha ribadito anche di recente il sostegno della famiglia all'azienda fondata oltre cent'anni da dal Senatore Agnelli.
Ieri le azioni Fca hanno riguadagnato (+3,4% a 13,44 euro) gran parte delle perdite di lunedì. Il problema è che Fca vale in Borsa 17 miliardi di euro e dopo lo scorporo di Ferrari, fra sei mesi, la sua capitalizzazione potrebbe scendere al di sotto dei 10 miliardi, pari a una frazione di quelle di potenziali partner come Vw o Gm. In quelle condizioni, più che una fusione si potrebbe ipotizzare una vendita tout court di Fca, e agli Agnelli rimarrebbe una quota poco più che simbolica (oltre che il controllo di Ferrari e Cnh Industrial e - se l'offerta andrà in porto - della riassicuratrice americana Partner Re).
Date queste premesse, come sarebbe possibile mantenere una qualche forma di «italianità» per Fca che - ricordiamolo - anche al netto di Ferrari avrà ancora quasi 60mila dipendenti nel nostro Paese? Poco più di un mese fa, a Venezia, Marchionne ha avuto un lungo colloquio con Marco Tronchetti Provera - numero uno di Pirelli - che ha di fatto ceduto l'azienda al colosso cinese ChemChina, sia pure tenendo le redini del management; potrebbe essere questa la soluzione di medio-lungo periodo anche per Fiat Chrysler? Un passaggio soft della proprietà e del controllo in mano estera?
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