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Cina, svalutazione-record dello yuan per rilanciare l’economia

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MOSSA A SORPRESA DI PECHINO

Cina, svalutazione-record dello yuan per rilanciare l’economia

TOKYO - Le autorità cinesi hanno pilotato oggi a sorpresa la maggiore svalutazione giornaliera dello yuan da quasi due decenni - portandone il cambio ufficiale ai minimi da circa tre anni nei confronti del dollaro - con una mossa finalizzata con tutta evidenza a sostenere l'economia reale ed in particolare le esportazioni dopo una serie di dati deludenti. Il “midpoint” (punto medio nei confronti del quale è consentita una oscillazione giornaliera massima del 2%) è stato portato a 6.2298 da 6.1162 di lunedì mentr in chiusra lo yuan è stato scambiato a 6,32 contro il dollaro.

La banca centrale ha avvertito che si tratta di un deprezzamento “una tantum” (nell'ordine di quasi il 2%) nel quadro di un nuovo sistema di gestione dei cambi che darà più peso alle forze di mercato, con un fixing ufficiale che rifletterà la precedente chiusura del trading. Ma certo non sarà questa l'interpretazione accettata da tutti nel mondo: al Congresso Usa, in particolare, sembrano destinate a riaccendersi le polemiche contro le iniziative dirigiste verso le cosiddette “svalutazioni competitive” in quella che viene definita «guerra delle valute».

Sui mercati valutari asiatici si sono create tensioni, con ribassi per il won sudcoreano, il dollaro di Singapore e quello australiano, tutti Paesi che possono subire gli effetti di un rallentamento dell’economia cinese. La Borsa di Tokyo, dopo un avvio positivo sull'onda dei precedenti guadagni di Wall Street, ha invertito la rotta e ha chiuso in negativo: l'indice Nikkei ha lasciato sul terreno lo 0,42% a 20.720 punti; l'indice esteso Topix ha ceduto lo 0,22% a 1.687 punti. Piuttosto sostenuti i volumi, con circa 2,42 miliardi di azioni passate di mano.

Si rilanciano dunque i timori sulla stabilità della crescita cinese, visto che la nuova iniziativa delle autorità di Pechino potrebbe finire per favorire fughe di capitali. Come successo dopo il recente crollo della Borsa di Shanghai (oggi in tendenza a un lieve calo), l'interventismo governativo viene giudicato da alcuni analisti come dettato dal panico. In quest'ultimo caso, si tratta di un provvedimento in relativa contraddizione con la politica che intende fare dello yuan una valuta internazionale con un crescente peso nelle transazioni cross-border e un profilo di “valuta di riserva” presso organismi internazionali. Secondo un'altra interpretazione, prendendo per buone le giustificazioni ufficiali, sarebbe una mossa non tanto dettata dalla necessità di sostenere l'export, quanto preliminare a una maggiore liberalizzazione del sistema del cambio in vista del futuro ingresso nel “basket” dei diritti speciali di prelievo del Fondo Monetario Internazionale. L'Fmi ha rinviato almeno a settembre 2016 l'inclusione dello yuan e dato una valutazione di tenore misto sugli sforzi finora attuati da Pechino per dare più voce al mercato nella fissazione del livello dei cambi (d'altra parte, aveva riconosciuto a maggio che non era più sottovalutato). In sintesi, Pechino ha quindi varato una mossa astuta che combina una svalutazione pilotata a una maggiore apertura al mercato.
Secondo gli ultimi dati rilasciati sabato, l'export cinese è sceso dell'8,3% a luglio rispetto a un anno prima, con un calo dello 0,8% nei primi sette mesi di quest'anno in termini di dollari.

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