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Ma il Fondo monetario benedice la mossa cinese

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Ma il Fondo monetario benedice la mossa cinese

TOKYO - Pechino ha astutamente inquadrato la svalutazione in una riforma del sistema di fissazione dei cambi che darà più peso alle forze di mercato. Così è arrivata la “benedizione” da parte del Fondo Monetario Internazionale. In un comunicato diffuso per email con la raccomandazione di attribuirlo a un generico portavoce, il Fmi ha sottolineato che «una maggiore flessibilità nel tasso di cambio è importante per la Cina, che va in direzione del conferimento alle forze di mercato di un ruolo decisivo nell’economia e si sta rapidamente integrando nei mercati finanziari globali».

Per il Fmi il nuovo meccanismo annunciato dalla banca centrale cinese per la determinazione della parità centrale è quindi un “welcome step” in questa direzione; d'altra parte «l'impatto esatto dipenderà da come questo nuovo meccanismo sarà attuato in pratica». «Crediamo che la Cina possa e debba mirare a conseguire entro due o tre anni un sistema di cambio effettivamente fluttuante«, continua l'email. Quanto alle mire cinesi per l'ingresso dello yuan/renminbi nella composizione del paniere internazionale del diritti speciali di prelievo (SDR), la nota virtuale del Fondo Monetario dichiara che gli annunciati cambiamenti non hanno dirette implicazioni sui criteri utilizzati per la composizione del basket, ma che un tasso di cambio maggiormente determinato dal mercato «faciliterà le operazioni SDR nel caso il renmimbi venga incluso nel paniere» (prospettiva già slittata come minimo verso la fine dell'anno prossimo).

La presa di posizione dell'Fmi appare importante anche in vista della visita del mese prossimo negli Usa del presidente Xi Jinping. Di sicuro, dal Congresso si leveranno voci critiche, che accuseranno Pechino di mosse finalizzate a una svalutazione competitiva. Ma è lo stesso Fmi a dire che non si tratta di questo.

Anche Standard & Poor’s promuove la svalutazione cinese. Le azioni a sorpresa decise dalla Cina per una maggiore flessibilità valutaria, scrive l’agenzia di rating in uno studio, «sono sensate a livello economico e non rappresentano l'inizio di una guerra valutaria o il tentativo di far ripartire la crescita». «L’argomentazione che la Cina stia cercando di sostenere la crescita indebolendo la propria valuta e rafforzando l'export non ci sembra convincente», afferma Paul Gruenwald, capo economista di S&P per l'Asia Pacifico. «Le esportazioni sono più una funzione della domanda estera con il tasso di cambio che svolge un ruolo secondario. Non esiste alcun motivo per cui questo rapporto sia cambiato», conclude Gruenwald.

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