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Parla Mickey Levy: «Yellen vuole la stretta subito, se i rischi…

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Dopo Jackson Hole - La Fed e il dilemma dei tassi

Parla Mickey Levy: «Yellen vuole la stretta subito, se i rischi non saranno troppi»

Alzerà i tassi forse gia' a settembre, dati economici (l'occupazione americana del mese scorso esce venerdì') e soprattutto ansia dei mercati permettendo. Il simposio di Jackson Hole della Federal Reserve, con la partecipazione di banchieri centrali di una quarantina di Paesi, si e' concluso con un messaggio che ancora non ha offerto certezze su quando avviera' la sua prima stretta di politica monetaria. Ma ha quantomeno lasciato, a saperle decifrare, importanti tracce verso la decisione.

Mickey Levy, uno dei piu' attenti Fed watchers americani, vanta la distinzione di essere stato tra gli ultimi economisti di Wall Street invitati a partecipare ai lavori del Simposio, ormai due anni or sono, prima della svolta “istituzionale” impressa dalla Banca centrale e intensificatasi sotto la presidenza di Janet Yellen. Che preferisce tenere i dibattiti decisionali all'interno delle sedi apposite - il comitato direttivo del Fomc - e limitare il ruolo di convegni e conferenze. Ora senior economist per America e Asia di Berenberg Bank, Levy non ha perso l'abitudine di seguire e interpretare i lavori - e i dilemmi - dell'istituto centrale. Ed e' convinto che la Fed voglia disperatamente alzare i tassi senza indugi, se solo potra' evitare eccessivi rischi di effetti negativi sui mercati.

Assieme alla sua intervista, pubblichiamo i documenti cruciali discussi durante il Simposio e che analizzano il nodo dell'inflazione. La sua continua assenza rimane uno dei grandi interrogativi aperti sulla salute dell'economia americana e alimenta divisioni dentro la stessa Fed.

La Fed è davvero pronta alla prima stretta in nove anni a settembre?
Avrebbe gia' dovuto farlo sulla base della crescita moderata, di risanamenti dell'occupazione e di un'inflazione che per quanto bassa da' segni di vita. I dubbi sono se puo' fare nell'attuale clima. Il timore e' quello di essere attaccata e screditata se, alzando i tassi, qualcosa va male. Una preoccupazione squisitamente politica e di stabilita' dei mercati. Storicamente durante periodi di bufere finanziarie tende ad aspettare. Ma un mini-intervento gia' a settembre sarebbe probabilmente la soluzione migliore, accompagnato da una presa di posizione positiva sull'economia, per rafforzare la fiducia di mercati e operatori”.

La frenata cinese non apre nuovi scenari di debolezza economica?
Probabilmente la Cina sta rallentando anche piu' di quanto le autorita' ammettano. La battuta d'arresto e' inoltre aggravata dal fatto che il Paese e' lo hub manifatturiero per l'Asia e dalla debolezza nelle commodities. Ma la frenata e' anzitutto superiore di quanto prevedessero i gestori di portafoglio, che ora devono correggere le loro aspettative. Shock e aggiustamenti a Wall Street sono piu' bruschi rispetto alle implicazioni economiche, che sono invece assai meno drammatiche.

Ma quali effetti prevede per la crescita statunitense?
L'economia americana dovrebbe risentirne solo marginalmente, forse limando 0,2 punti dal Pil, perche' se l'export puo' essere danneggiato non cosi' i consumi e i redditi domestici, oggi oltretutto aiutati dal calo del greggio. Anche le preoccupazioni per un dollaro forte potrebbero nell'insieme rivelarsi esagerate.

L'altro tema scottante è l'inflazione che non riparte e fa dubitare della salute della ripresa.
L'inflazione, certo, e' sotto il target del 2% ma non e' assente come molti sostengono. E non vedo affatto ne' deflazione ne' segni che simili attese stiano spingendo i consumatori a rinviare le spese, impattando l'espansione.

I Documenti
Inflazione, questa sconosciuta. Quattro analisi sono state presentate al Simposio della Fed di Jackson Hole per cercare risposte alle anomalie nel comportamento dei prezzi, rivelatosi negli ultimi anni tutt'altro che “da manuale”: scarsi cali durante la crisi e la recessione, scarsi rialzi durante la ripresa. Gina Gopinath di Harvard University ha affrontato il sistema internazionale dei prezzi e mostrato come, con il ruolo dominante del dollaro, i movimenti nei cambi e le scelte di politica monetaria americana generino contraccolpi su inflazione e economie altrui mentre non avviene l'opposto.

Un altro studio, di S. Boragan Arouba dell'Universita' del Maryland e di Frank Schorfheide dell'Universita' della Pennsylvania, ha toccato il fenomeno di protratti tassi a zero che limita la capacita' delle banche centrali di rispondere a shock. Ma ha minimizzato i rischi di deflazione per Stati Uniti e Eurozona nei prossimi cinque anni (da pressoché nulli ora a non oltre il 20%) mentre restano del 50% per il Giappone. Un terzo ha analizzato il rapporto tra politica monetaria e inflazione, invitando le banche centrali a evitare modelli semplicistici e a “meglio integrare nelle decisioni disparate e confuse dinamiche”. Ancora: Simon Gilchrist della Boston University e l'economista Fed Egon Zakrajsek hanno sottolineato come, durante crisi finanziarie, aziende a corto di fondi e credito rispondano “stranamente”: anziche' abbassare i prezzi li alzano per rastrellare risorse. Durante simili shock, inoltre, misure per stabilizzare l'inflazione danno “risultati economici peggiori” di quelle che stabilizzano l'output. Eccoli in originale allegati di seguito.

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