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Tutti aspettano il 17 settembre. La Fed alzerà i tassi o no? Le…

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market mover del 2015

Tutti aspettano il 17 settembre. La Fed alzerà i tassi o no? Le possibili reazioni dei mercati

Tutti aspettano il 17 settembre, giorno in cui il comitato operativo della Federal Reserve deciderà se lasciare invariato il costo del denaro (nel range attuale compreso tra 0 e 0,25%) oppure ritoccarlo all’insù.

Il dubbio non è poi così amletico però se si osservano i derivati scambiati sul mercato Cme. In questo momento un rialzo dei tassi di 25 punti base a settembre (sarebbe in ogni caso il primo dopo 10 anni negli Usa) è dato appena al 23,5% delle probabilità. Questo significa, leggendo il tutto al contrario, che in questo momento i mercati prezzano al 77% un mantenimento dello status quo nella politica monetaria della Fed. Diverso lo scenario per dicembre quando invece siamo al testa a testa (40% “no” al rialzo, 42% sì).

Scopriamo l’opinione in merito di un panel di esperti e gestori. «Pensiamo che la Fed aspetterà fino a dicembre per alzare i tassi , in quanto siamo fiduciosi che la crescita negli Stati Uniti non sarà messa a repentaglio da una minor crescita in Cina. Anche i salari dovrebbe salire in modo più sostenuto a partire dal 2016 mano a mano che la disponibilità di manodopera viene assorbita dal mercato del lavoro», spiegano sgli esperti di Vontobel.

Recentemente hanno cercato di spingere la Fed a non variare il costo del denaro sia il Fondo monetario internazionale che la Banca mondiale, indicando quanto questa mossa possa compromettere l’area che in questo momento cresce di più, ovvero quella emergente. «La Fed certamente presterá attenzione ai consigli del Fmi, ma in ultima analisi si focalizzerá su ció che é meglio per l'economia americana e non sulle ripercussioni sui mercati emergenti, visto che dopotutto la stabilitá finanziaria globale fa parte del mandato del Fmi e non di quello della Fed», argomenta Viktor Nossek, director of Research WisdomTree Europe. «In passato, anche su argomenti molto più delicati – le indicazioni del Fmi sono state disattese», conferma Paolo Longeri di Consultinvest sgr.

«La Fed deve anche valutare le ripercussioni di un aumento dei tassi sulla stabilità finanziaria globale. In questo secondo caso potrebbe esserci più incertezza. I temi di instabilità sono prevalentemente legati alle ripercussioni sul contesto globale di un rafforzamento del dollaro indotto da un rialzo dei tassi - sottolinea Maria Paola Toschi, market strategist di J.P. Morgan asset management -. I paesi emergenti potrebbero soffrire sia per un nuovo calo dei prezzi delle commodity (espressi prevalentemente in Dollari) sia perchè molti hanno parte dei debiti in dollari. Un rialzo potrebbe quindi ancora indurre una fase di turbolenza che come visto di recente».

«Le probabilità di un rialzo dei tassi nella riunione di settembre appaiono a nostro avviso limitate e continuiamo a ritenere che la decisione potrebbe invece arrivare a dicembre. Le ultime dichiarazioni provenienti dai rappresentanti della banca centrale americana hanno contribuito a raffreddare le attese di mercati (implicite nei futures sui fed funds) per una mossa imminente della Fed: a questo riguardo, hanno pesato gli accenni legati ai rischi provenienti dalla recente turbolenza dei mercati e al conseguente, parziale mutamento delle condizioni finanziarie complessive - spiega Sergio Bertoncini, Strategist di Amundi Sgr -. Inoltre, l'ultimo rapporto mensile sull'occupazione pubblicato venerdì ha mancato di fornire segnali univoci a favore di un immediato rialzo dei tassi, consegnando sì un tasso di disoccupazione al di sotto della “tendenza centrale” delle previsioni della Fed per il quarto trimestre, ma in combinazione con un numero di nuovi occupati mensili complessivamente inferiori alle stime di consenso».

Secondo Martin Arnold, director research per Etf Securities «ci sono ancora buone possibilità che l'aumento venga attuato in occasione del meeting di dicembre. Lo slancio economico americano rimane robusto e il mercato del lavoro continua a restringersi; così, da una prospettiva domestica, la possibilità di un aumento resta solida».

Non è da escludere che la stretta Fed arrivi addirittura nel 2016. «Le probabilità di un rialzo a settembre mantengono ancora una certa consistenza, anche se molti analisti a seguito del recente sell-off sui mercati azionari mondiali si sono già espressi per un rinvio tra fine anno e marzo prossimo», indica Angelo Dipasquale, divisione Fixed Income di Equita Sim.

Dello stesso parere Massimo Terrizzano, responsabile fondi di Bnp Paribas investment partners. «Dopo che anche la Banca Centrale Europea ha rivisto al ribasso le stime su PIL ed inflazione, l'America sembra rimasta l'unico motore a trainare l'economia mondiale e parrebbe giustificato l'allarme del Fmi e dei paesi emergenti che una stretta sui tassi possa inaridire anche quest'ultima fonte di sviluppo. Nonostante questi condizionamenti, riteniamo comunque elevata la probabilità che la Fed proceda ad un aumento di 25 punti base già nella riunione del Fomc del 17 settembre».

In caso di rialzo dei tassi c’è il rischio che il dollaro si rivaluti ulteriormente, costringendo la Cina a pensare ad ulteriori svalutazioni dello yuan. Ma soprattutto c’è la certezza che il debito che i Paesi emergenti hanno accumulato in questi 10 anni di tassi bassi in dollari (si parla di 9mila miliardi di dollari) costerà di più in termini reali. Al contrario «se la Federal Reserve dovesse posticipare il rialzo dei tassi, le ricadute sarebbero positive per tutti gli strumenti finanziari più esposti al rischio», spiega David Leduc, Ceo e Cio di Standish Mellon asset management, società d'investimento del gruppo Bny Mellon.

«Più che l'Fmi, la Fed valuterà il deludente dato di agosto sulla creazione dei posti di lavoro nel settore non agricolo (appesantito dal manifatturiero). Premesso che il dato di agosto è di difficile lettura (spesso soggetto anche a consistenti revisioni al rialzo), la vera domanda da porsi è la Fed “data dependent” o “outlook dependent”. Infatti guardando al complessivo andamento dell'economia americana, occorrerebbe agire; avendo invece, riguardo all'outlook generale, la decisione appare maggiormente incerta», dice Salvatore Pignataro, vice Direttore generale e responsabile della divisione Private Banking di Banca del Fucino.

C’è chi sposta l’asticella al 2016. «Considerando un mercato del lavoro ancora stabile, salari prossimi a crescere nel 2016 e un'inflazione in salita mentre l'effetto di base del ribasso del petrolio esce dall'equazione a partire dalla fine dell'anno - riteniamo che la Fed dovrebbe effettuare un rialzo dei tassi di 25 basis point per ciascun trimestre del 2016», argomenta Christian Zima, gestore “Rates & FX” at Raiffeisen Capital Management».

Ma c’è anche chi ipotizza che il rialzo dei tassi a settembre sia più probabile di quanto al momento prezzato sul mercato dei derivati. «Il rialzo dei tassi a settembre resta una chiara possibilità. Guardando al doppio mandato della Federal Reserve - piena occupazione e inflazione al 2% - possiamo osservare che, in base ai dati di agosto, l'Istituto centrale americano ha raggiunto il tasso di disoccupazione di equilibrio di lungo termine, al 5,1% - dice David Basola, responsabile per l'Italia di Mirabaud am -. Per quanto riguarda l'inflazione, la situazione è meno chiara, ma il trend dell'inflazione core - in particolare guardando ai servizi - punta verso un miglioramento. Resta ancora un'incertezza importante, cioè la forza del dollaro americano rispetto alle valute dei partner commerciali. Da luglio di quest'anno, lo Us dollar index si è apprezzato, ma meno di quanto visto in precedenza. Quindi, resta in piedi la possibilità di un rialzo a settembre».

Non sarà poi solo una questione di rialzo dei tassi, ma di come verrà spiegato. Occhio quindi alle parole del governatore Yanet Yellen. «Certo l'apprezzamento del dollaro dall'estate scorsa è sicuramente un fattore da considerare. Il mercato valutario ha “scontato” una divergenza di politica monetaria fra la Fed ed altri Paesi maggiori già da mesi e Janet Yellen, quando alzerà i tassi, cercherà presumibilmente di evitare che il dollaro continui ad apprezzarsi a questo ritmo - spiega Ugo Lancioni, responsabile valutario di Neuberger Berman -. La Fed dovrà quindi dimostrare molta abilità nel formulare il messaggio, per convincere il mercato che il cammino al rialzo sarà estremamente graduale».

«A prescindere dal momento iniziale relativo al primo rialzo sarà importante concentrarsi sul ritmo di rialzi, che a nostro parere vede un rialzo isolato nel 2015, con un periodo di valutazione degli effetti relativi soprattutto agli spostamenti di capitale tra borse americane ed emergenti ed obbligazionari Usa», conferma Matteo Paganini, chief analyst, Fxcm Italia.

Da non dimenticare anche il rischio di una mancata stretta, quasi come se i mercati (in un caso o nell’altro) fossero stretti da una morsa. «Un numero crescente di scettici sostiene che un rialzo dei tassi sia un errore politico. Se, tuttavia, ci fosse un ulteriore ritardo di un intervento sui tassi, l'euforia delle Borse potrebbe trasformarsi in panico se l'inazione della Fed fosse interpretata come un segnale di preoccupazione per le prospettive di crescita - sostiene Asoka Woehrmann, Cio di Deutsche Awm -. In ogni caso, sarà il primo rialzo dei tassi in nove anni, un evento che circa un terzo degli operatori attivi non ha mai incontrato durante la loro carriera».

In ogni caso, settembre, dicembre o 2016, alzando i tassi la Fed si schiererebbe apertamente contro la Cina? «L'imminente rialzo dei tassi di interesse Usa non si schiera contro la Cina, tuttavia comporta alcune implicazioni negative per il Paese - afferma Marc Craquelin, direttore della gestione di La Financière de l'Echiquier -. La divergenza tra i cicli di politica monetaria tra Cina e Usa ha ridotto l'interesse degli investitori cinesi e internazionali nel fare carry trade, portando a una fuga di capitali dalla Cina (i controlli sui capitali sono molto porosi) e a una pressione verso il basso dello yuan». Secondo Massimiliano Maxia, fixed income product specialist di Allianz Global Investors «non si possono assolutamente escludere ulteriori misure di svalutazione dello yuan, se l'economia dovesse mostrare ulteriori segnali di rallentamento».

A parer di Marco Piersimoni, senior portfolio manager di Pictet asset management «un rialzo dei tassi non è gradito a Pechino, come chiaro dalla decisione di lasciare maggiore liberta` di fluttuazione al renmimbi. La scelta della PBoC va letta come sganciamento dalla politica monetaria Usa, dato che in questo momento la Cina non ha bisogno di ulteriori restrizioni monetarie, vista la debole congiuntura economica. Al rialzo dei tassi, la Cina potrebbe quindi rispondere con una ulteriore svalutazione».

«Non vediamo contrasto tra Usa e Cina. Riteniamo che le due potenze stiano lavorando dietro le quinte, con il placet dell'Fmi, per la continuazione delle riforme del sistema finanziario cinese e, a medio/lungo termine, perché lo Yuan possa divenire una moneta di riserva internazionale attraverso il meccanismo degli SDR (Special Drawing Rights)», sottolinea Alessandro Picchioni, responsabile degli investimenti di WoodPecker Capital.

La Cina è il secondo Paese, dopo il Giappone, che ha più titoli di debito Usa (Treasury bond) in portafoglio. «La decisione della Fed di rialzare i tassi dipende prevalentemente dall'attività economica statunitense. L'incombente ciclo di rialzo dei tassi statunitensi è stato ben comunicato, con la Fed che ha rimarcato la propria volontà di adottare un approccio graduale - indica Thibault Colle, portfolio manager di Union Bancaire Privée - Ubp -. A nostro avviso ciò dovrebbe limitare l'impatto sul valore dei Treasury statunitensi. In tale contesto, la Cina potrebbe non sentire alcun bisogno di rispondere con le maniere forti. In ogni caso, eventuali perdite sui Treasury che la Cina ha in portafoglio, come conseguenza del rialzo dei tassi, potrebbero essere compensate da un miglioramento in termini di competitività della Cina in materia di esportazioni, grazie a un apprezzamento del dollaro».

«Il rischio associato ad un inasprimento della politica monetaria da parte della FED non deve essere ignorato. Le economie più vulnerabili dei mercati emergenti, specialmente quelle con grandi necessità di finanziamenti esterni o pesanti fardelli di debito interno in valuta straniera, potrebbero affrontare un considerevole stress - dice Johhny Bo Jakobsen, Chief Analyst di Nordea -. In Cina i policymaker hanno ancora spazio di manovra ed è presumibile un ulteriore allentamento della politica fiscale e monetaria. Riteniamo, dunque, probabile un graduale rallentamento della crescita».

«Studiando la storia delle recessioni mondiali, ci si accorge che esse si verificano solo se vi è una recessione americana. Ciò è del tutto normale poiché gli Stati Uniti rimangono l'economia dominante (22,5% del Pil mondiale) e controllano tutte le maggiori dinamiche macroeconomiche o tecnologiche. Ma la Cina non rappresentava nel passato la parte del Pil mondiale che rappresenta oggi (15%)», argomentano dal team di gestione di Dnca investments.

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