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MATERIE PRIME

Società petrolifere e alimentari come banche? Mifid 2 allarma chi scambia materie prime

Che cos’hanno in comune Eni, Barilla e una banca? Per il momento ben poco. Ma con la Mifid 2 la situazione potrebbe cambiare. La direttiva europea di riforma degli strumenti finanziari promette - o minaccia, a seconda dei punti di vista - una rivoluzione nel mondo delle materie prime. Le attività di trading, anche quelle svolte da una compagnia petrolifera o da un gruppo alimentare, verranno regolate in modo molto più rigido, al punto da cancellare in alcuni casi qualsiasi differenza nel regime di vigilanza rispetto a quella applicata alle società di investimento. Per effetto di questa ed altre normative, i soggetti non finanziari che operano con volumi importanti sui mercati delle commodities potrebbero persino essere assoggettati a obblighi di riserva, proprio come le banche, con ricadute pesanti sui bilanci.

La Mifid 2 entrerà in vigore soltanto nel 2017 e sui dettagli ci sono ancora grandi incertezze. Ma un po’ di luce, per quanto riguarda il trading di materie prime, dovrebbe farla l’Esma (European Securities and Markets Authority) che a breve pubblicherà gli standard relativi a queste attività, che finora le autorità di mercato avevano trattato con un occhio di riguardo. A cambiare l’approccio - in Europa così come negli Usa, in cui è stata introdotta la legge Dodd-Frank - sono stati i prezzi record delle commodities, di cui sono stati accusati gli speculatori finanziari, e subito dopo la grande crisi che ha investito i mercati dopo il crac di Lehman Brothers.

Qualcuno sospetta che possa aver influito anche l’attività di lobbying da parte delle grandi banche, spaventate dall’emergere di colossi del trading di materie prime, come Glencore, Vitol o Trafigura. Le nuove normative arrivano tuttavia al traguardo in una fase storica molto diversa da quella in cui furono concepite: oggi le materie prime crollano, tanto da far soffrire anche le maggiori case di trading, e le grandi banche che un tempo dominavano il settore si sono gradualmente ritirate (non solo per le regole più severe, ma anche perché il business si è fatto meno redditizio).

Le anticipazioni sugli Standard Esma - e più in generale gli orientamenti finora emersi - hanno messo in forte agitazione le imprese potenzialmente interessate. La definizione di derivato finanziario si è fatta più ampia e gli scambi di materie prime, anche a fini di hedging, dovranno avvenire su mercati regolamentati. Ci saranno limiti di posizione e obblighi di comunicazione alle autorità di vigilanza. Le esenzioni, un tempo concesse con larghezza, saranno molto più difficili da ottenere. Per chi effettua un grande volume di scambi, la Mifid 2 e altre direttive imporranno la sostanziale equiparazione a una banca, con tanto di obblighi di riserva.

È chiaro che ben pochi siano disposti a digerirlo. Royal Dutch Shell- che come Bp ed Eni ricava una buona fetta di profitti dal trading - ha già minacciato di spostare le attività fuori dall’Unione europea, se non ci sarà un cambiamento di rotta, perché ha calcolato che dovrebbe accantonare come riserva qualcosa come 30 miliardi di dollari: una cifra superiore a quella che riserva agli investimenti.

Insieme ad altre società - tra cui Bp, Mars Chocolate, Rwe, E.On - in giugno Shell ha inviato una lettera alla Commissione europea sollecitandola a modificare le norme che potrebbero «danneggiare i mercati», rendendoli meno liquidi e più volatili. Gli oneri imposti alle imprese rischierebbero inoltre di essere trasferiti a valle, ai danno dei consumatori, che vedrebbero rincarare prodotti alimentari e bollette energetiche.

Anche i governi di Germania, Francia e Regno Unito circa un mese fa hanno scritto a Bruxelles invocando modifiche alla bozza della Mifid 2.

L’Esma ha assicurato di aver tenuto conto delle centinaia di osservazioni ricevute in fase di consultazione sugli Standard. Si vedrà presto fino a che punto.

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