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Ecco perché l’oro è schizzato ieri di 30 dollari in pochi minuti

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Ecco perché l’oro è schizzato ieri di 30 dollari in pochi minuti

Ai tempi dell’algotrading basta una frazione di secondo per ribaltare la situazione sui mercati. E l’oro - particolarmente esposto agli orientamenti di politica monetaria e alla volatilità delle aspettative sulla Federal Reserve - l’ha dimostrato ancora una volta. Alla pubblicazione dei dati sull’occupazione Usa le quotazioni del metallo prezioso, che stavano puntando verso il basso per la sesta seduta consecutiva, sono schizzate immediatamente verso l’alto. In meno di un minuto da 1.109 dollari l’oncia, non lontano dal minimo quinquennale di 1.077 $ toccato in luglio, si è arrivati a sfiorare 1.020 $ per poi accelerare ulteriormente. In un quarto d’ora il lingotto era già volato a 1.135 $, un’ora dopo superava 1.140 $.

Uno strappo davvero brusco, che rispecchia analoghi movimenti da parte del dollaro e dei titoli di Stato americani. L’euro è passato da un minimo intraday di 1,1150 a 1,1315 sul biglietto verde , mentre il rendimento dei Treasuries a 10 anni è sceso sotto il 2%, una soglia probabilmente non solo psicologica, che con tutta probabilità ha innescato una serie di reazioni a catena: ordini partiti in automatico, su impulso di un software, o immessi da operatori in carne e ossa. Cambia solo la velocità, ma non la sostanza.

La convinzione che a breve ci sarà un rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve sta vacillando, adesso che si è saputo che i nuovi occupati Usa sono stati molto meno del previsto in settembre (appena 142mila contro aspettative per 200mila e più) e dopo che il dipartimento del Commercio ha corretto - tagliandolo di ben il 21% - il dato di agosto, a +136mila.

Finché gli investitori non torneranno a prevedere una stretta monetaria entro l’anno (cosa che, sulla scorta della recente esperienza potrebbe anche accadere prestissimo), l’oro potrebbe continuare a recuperare quota. Ma le sue prospettive rischiano di non essere troppo brillanti, visto che la Fed presto o tardi si deciderà ad abbandonare la politica di tassi a zero, che lo scorso decennio era stata determinante per mettere le ali al lingotto. Il prossimo rialzo del costo del denaro negli Usa è il motivo principale di un declino delle quotazioni aurifere che dura ormai da cinque trimestri, la serie negativa più lunga dal 1997, e che non è stata interrotta neppure dal risveglio della domanda fisica, che pure è notevole.

Le vendite di monete in particolare stanno andando fortissimo. La Us Mint ha venduto American Eagle per 397mila once nel terzo trimestre, più del triplo rispetto al trimestre precedente. Ancora più spettacolare il successo delle monete in argento: la zecca americana tra giugno e settembre, quando il prezzo del metallo è crollato ai minimi da sei anni, ne ha vendute per quasi 14,3 milioni di once, un record da circa trent’anni. In certi periodi le zecche, negli Usa e altrove, hanno dovuto razionarle, perché la produzione non è riuscita a star dietro alla domanda (un fenomeno che ha diffuso il timore che vi sia in realtà una carenza di argento).

Anche le banche centrali dei Paesi emergenti continuano a comprare oro. La Cina, che ora trasmette aggiornamenti mensili, ha incrementato le riserve auree di 19 tonnellate in luglio e altre 16,2 in agosto.

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