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Il click su Internet «anticipa» la Borsa

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FINANZA HI-TECH

Il click su Internet «anticipa» la Borsa

Un click in Internet per prevedere cosa farà il titolo in Borsa. Ai più può sembrare lo spot, neppure dei più belli, di una dotcom di inizio millennio. Prima, ovviamente, dello scoppio della famosa bolla. In realtà è una delle frontiere dei big data. In particolare: la possibilità, grazie ai software che scandagliano l’«animo» di una notizia, di definire il futuro dell’azione di cui parla la news stessa.

Fantafinanza? Pare di no. Almeno secondo una ricerca della Scuola Normale Superiore di Pisa condotta insieme all’Imt di Lucca e QuantLab. Gli esperti, osservando le 100 azioni a maggiore capitalizzazione di Wall Street nel periodo 2012-2013, hanno svolto un’analisi articolata.

Dapprima, sfruttando le informazioni fornite dal portale Yahoo!finance, hanno definito il sentiment delle medesime. Gli algoritmi, peraltro ormai piuttosto comuni, sono stati messi in moto per quantificare, ad esempio, la presenza di una determinata parola negativa (o positiva) nel testo. Compiuto il procedimento il risultato finale, insieme a quello di altre analisi testuali, è stato buttato nel calcolatore. Questo, alla fine, ha definito per l’appunto la maggiore o minore positività della notizia.

Il risultato, a ben vedere, non ha mostrato un grande legame con la dinamica futura dell’asset. «La semplice individuazione del sentiment - dice Fabrizio Lillo coautore della ricerca- ha scarsa valenza statistica. Nell’ora successiva alla sua pubblicazione solo il 4% delle azioni ha evidenziato un legame significativo». certo: il dato, nel più ampio arco di tempo delle 24 ore, aumenta. E, tuttavia, rimane ancora basso (18%). «Così abbiamo introdotto un’altra variabile: il numero dei click, fornito dal portale stesso, alla notizia interessata». Ebbene, in questo caso il carattere “predittivo”è aumentato di parecchio.

«Abbiamo notato - indica Lillo - che la correlazione cresce in maniera significativa». Vale dire? «Nel momento in cui si ha una notizia che è stata oggetto di molti “ingressi” la capacità della stessa di anticipare il trend del titolo sale. Così: nei sessanta minuti successivi, l’andamento dell’azione è correlato positivamente nel 53% dei casi. Rispetto, invece, al periodo di tempo di 24 ore il valore si assesta al 37%».

Il che è un dato significativo. Sul lasso temporale più breve, infatti, è molto probabile ci sia l’intervento degli operatori automatici. Cioè, gli algoritmi leggono la notizia e si muovono di conseguenza. Una dinamica piuttosto nota che non ha il carattere della novità.

Diverso, invece, il discorso sul trend del titolo nel giorno successivo. In questo caso, infatti, la rilevanza statistica indica che è possibile (per le notizia più lette) individuare uno scenario di probabile evoluzione del titolo azionario. «E questo - precisa Lillo - in base alle informazioni raccolte su un portale finanziario, quale Yahoo.finance, dedicato al retail».

Vale a dire: non c'è (in teoria) l’influenza degli operatori professionali che, a fronte della loro incidenza sui listini, potrebbero ridurre la rilevanza del risultato della ricerca.

Già, la ricerca. L’analisi, a ben vedere, si inserisce in un filone sempre più battuto dagli operatori di Borsa. Nel recente passato molte sono le ricerche che hanno studiato come sfruttare Internet per anticipare le dinamiche degli asset. Così, ad esempio, si è trovata la correlazione tra le «query» (domande) fatte ai motori di ricerca e i volumi delle azioni. Per non parlare, poi, dello «sfruttamento» dei social media.

Su quest’ultimo fronte peraltro, sempre di più, gli investitori integrano differenti strategie. Così è il caso di Two Sigma Investments. Il noto hedge fund individua, ad esempio, le lamentele dei consumatori su Twitter. Integra il dato con l’eventuale calo di vendite della società. E, poi, incrocia il tutto con modelli statistici basati sull’analisi tecnica. Quando il software definisce una strategia può impostarsi l’ordine d’investimento.

Si dirà: sistemi sofisticati per pochi adepti. Forse. I dati, tuttavia, indicano che i robot ormai gestiscono il 60% degli scambi negli Usa.