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Glencore come Lehman? Londra alza la guardia sui crediti bancari dei…

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Glencore come Lehman? Londra alza la guardia sui crediti bancari dei trader di materie prime

Le banche britanniche dovranno comunicare alla Banca d’Inghilterra la loro esposizione nei confronti di Glencore e delle altre società di trading di materie prime. La richiesta, secondo indiscrezioni di stampa, è stata inoltrata la settimana scorsa dalla Prudential Regulation Authority, un organismo creato in seguito alla grande crisi finanziaria per vigilare sulla «sicurezza e solidità» del sistema bancario, e potrebbe segnare un pericoloso punto di svolta, specie se anche le autorità di vigilanza di altri Paesi dovessero muoversi nella stessa direzione. Alcuni osservatori sostengono che nel caso più estremo Glencore rischia di fare da detonatore per una nuova crisi sistemica. Come Lehman Brothers nel 2008.

Se i crediti concessi ai trader di materie prime dovessero essere considerati troppo rischiosi, alle banche potrebbero essere imposti pesanti obblighi di riserva. Verosimilmente, considerato che gli stress test si stanno avvicinando sia in Europa che negli Stati Uniti, si andrebbe verso un ridimensionamento dell’esposizione al settore, che potrebbe anche tradursi in una fuga precipitosa, considerato il nervosismo sul mercato: non solo Glencore è stata colpita da fortissimi ribassi in Borsa, fino al 30% in una sola seduta, ma le sue obbligazioni, pur essendo investment grade, hanno cominciato ad essere scambiate alla stregua di junk bonds, mentre i Credit default swaps (Cds), una sorta di polizza contro il rischio di insolvenza di una società, sono schizzati oltre 1.000 basis point. Gli investitori in pratica sono disposti a pagare un premio del 10% sul valore nominale del debito della società, pur di tutelarsi dalla possibilità di un default.

Finita nell’occhio del ciclone, Glencore ha reagito con uno sforzo di trasparenza senza precedenti, fornendo dettagli sulle proprie attività assolutamente inediti in un settore che ha sempre tratto vantaggio dal muoversi dietro le quinte e che resta tra i più opachi in assoluto: di società come Trafigura, Vitol, Gunvor o Louis Dreyfus - che a differenza di Glencore, in Borsa dal 2011, non sono quotate - si conoscono al massimo le voci principali del bilancio.

La “glasnost” di Glencore ha rassicurato solo in parte il mercato, senza riuscire a spazzare via del tutto i dubbi sulla sua capacità di resistere in caso di prolungata - o peggio ancora accentuata - debolezza dei prezzi delle comodities (che peraltro il gruppo impiega come collaterale a garanzia di molti finanziamenti). Anche se Glencore ha assicurato di non avere covenant legati al suo rating, fanno inoltre paura le possibili conseguenze di un taglio del giudizio sul credito: due notch in meno la spedirebbero in categoria «spazzatura».

Gli analisti di Bank of America affermano che le banche non dovrebbero guardare solo all’indebitamento netto di Glencore (30 miliardi di $ che il managemente si è impegnato a ridurre a 20) ma anche all’esposizione lorda, comprensiva non solo delle obbligazioni ma anche delle linee di credito revolving, dei prestiti garantiti e delle lettere di credito, ampiamente utilizzate nel trading di materie prime. Il conto a quel punto salirebbe a 100 miliardi di dollari.

Come Lehman Brothers, osservano gli analisti di BofA, anche Glencore ha una struttura a forte leva e presenta «un disallineamento temporale tra la duration dei suoi finanziamenti (breve) e il tempo necessario per realizzare il valore di alcuni dei suoi asset». Inoltre, non è un unicum. «Anche altri veicoli come Trafigura, Vitol e Gunvor potrebbero figurare nei bilanci delle banche. Dunque 100 miliardi per quattro?».

Decine di banche di tutto il mondo hanno rapporti commerciali con i colossi del trading di materie prime. Solo in qualche caso tuttavia l’esposizione è rilevante. Secondo stime di Sanford C. Bernstein basate sui prestiti sindacati, ai primi posti ci sono Standard Chartered e Société Générale con 1,9 e 1,8 miliardi di dollari di esposizione rispettivamente, che contano per il 2,5% del patrimonio netto tangibile. Oltre il miliardo sono anche Hsbc, Barclays, Royal Bank of Scotland e Crédit Agricole.

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