La sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato (presieduto da Giorgio Giovannini) sul commissariamento della Banca popolare di Spoleto (che, a dispetto del nome, popolare non è) è destinata a fare discutere, e forse anche a fare ridiscutere i criteri con i quali da sempre viene interpretato (e applicato) l'articolo 70 del Testo unico bancario, quello che regola le amministrazioni straordinarie delle banche. La querelle riguarda il commissariamento della popolare spoletina, deciso, appunto, dal Mef, su proposta di Banca d'Italia il 12 febbraio 2013. Una decisione impugnata davanti al Tar dall'ex vicepresidente Michelangelo Zuccari, e dagli ex consiglieri Marco Carbonari e Claudio Umbrico. In particolare gli attori sollevavano al Tar il difetto di istruttoria imputabile al Mef per non avere svolto un'autonoma attività di verifica e controllo rispetto ai presupposti che avevano convinto Banca d'Italia a chiedere il commissariamento della banca umbra. Nonché la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 70 comma 1 lettera a e b della legge bancaria. Il Tar aveva respinto la richiesta di sospensiva. I tre amministratori non si sono arresi e hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato. La ragione? Sempre la stessa. Il Mef avrebbe dovuto eseguire un'autonoma istruttoria. Invece le risultanze degli accertamenti della Vigilanza sarebbero state recepite acriticamente. Ebbene, per il Consiglio di Stato avevano ragione. Perché? «L'atto d'impulso della Banca d'Italia costituisce una proposta obbligatoria senza la quale cioè non potrebbe iniziarsi il procedimento che conduce» al commissariamento. Ma ciò «Non impone al Mef di accettarne in modo acritico e dogmatico il contenuto, in quanto l'ordinamento gli attribuisce la facoltà di discostarsi dalla proposta a determinate condizioni». Il punto è che non è mai accaduto che il Mef si opponesse a una proposta di commissariamento di Banca d'Italia. Non è mai accaduto che, autonomamente, facesse ulteriori approfondimenti. E non è un caso. «Le verifiche di via Nazionale - commenta un giurista che conosce a fondo palazzo Koch - sono molto tecniche, lunghe, articolate, approfondite e sufficientemente garantiste. Oltre a questo il ministero avrebbe né i mezzi, né le risorse per simili approfondimenti». Un precedente? Taluni ritengono di sì.
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