Trader automatici sempre più invasivi. Algoritmi che sostituiscono l’uomo nelle scelte d’investimento. Le Borse, insomma, cambiano sempre di più. E l’essere umano, con maggiore o minore volocità, finisce sullo sfondo. Una situazione positiva? Oppure, uno scenario nefasto? Il Sole24 Ore ha simulato un processo ai robot in Borsa. Su alcuni dei temi di maggiore discussione si confrontano l'accusa e la difesa.
Il distacco dalla realtà
ACCUSA: Alla base della strategia d'investimento dei robot, nella maggior parte dei casi c’è la seguente struttura logica: «Se qualcosa accade….., allora compra (o vendi)». Un meccanismo che spesso considera le azioni (e tutti gli altri asset finanziari) alla stregua di semplici numeri. Vale a dire: il trader automatico dapprima analizza, ad esempio, l’andamento del prezzo del titolo in un arco di tempo (10 anni). Poi, dopo avere individuato dei valori significativi, li confronta con altre variabili (sempre ricondotte a numeri). Al che inserisce i prezzi definiti nella struttura logica indicata sopra. «Se il titolo supera 10 euro…, allora compra». Infine avvia l’investimento. La descrizione effettuata, ovviamente, è una semplificazione molto spinta. E, tuttavia, rende l’idea di un approccio all’investimento che allontana sempre di più il valore dell'asset dalla realtà. Un’azione infatti rappresenta un’azienda con i suoi uomini, la sua attività, i suoi prodotti, l’indotto e via dicendo. L’analisi fondamentale, pure con molti limiti, tenta proprio (ad esempio, attraverso l’analisi dei bilanci) di mantenere questo collegamento. Nel momento in cui ciò viene messo da parte la Borsa diventa un mondo autoreferenziale.
DIFESA: In un mercato efficiente tutte le informazioni sono riflesse nei prezzi di Borsa. Certo, i listini non possono vantare al cento per cento questa caratteristica. E tuttavia, in generale, può dirsi che il valore di un’azione «comprende» tutto ciò che ad essa è riferito. In tal senso, ad esempio, se una società è gestita bene la quotazione in Borsa ne terrà conto. Non solo: il prezzo sconta le aspettative future su quella determinata azienda. Attese che non si limitano alla gestione dei dirigenti. Ma anche alla produzione; oppure alla dinamica dei mercati di riferimento, alla produttività degli operai e via dicendo. Insomma, fare riferimento al solo prezzo dell’azione non implica alcuna cesura con il mondo reale che quella stessa azione rappresenta. È semplicemente una strategia diversa, che si adegua all’evoluzione tecnologica dei mercati.
Il valore segnaletico del prezzo sparisce
ACCUSA: Il trading automatico, secondo recenti stime, gestisce sempre più volumi (negli Usa circa il 60% degli scambi azionari). Questa dinamica «sporca» il valore segnaletico della formazione del prezzo dell’azione. Cioè: nel momento in cui la quota percentuale di scambi gestita dagli algoritmi è così elevata le strategie quantitative cui fanno riferimento diventano esse stesse il riferimento del mercato. Sono i «nuovi» fondamentali senza, però, esserlo realmente. In tal modo l’affermazione che «tutte le informazioni sono riflesse nei prezzi» perde grande parte del suo significato. Ad esempio: l’andamento del valore di un’azione è condizionato dalla correlazione individuata con un altro titolo (può ricordarsi il legame inverso tra i titoli bancari e lo spread Btp-Bund nel 2012). Nel momento in cui grande parte dei trader automatici in azione sfrutta questo legame le azioni, senza distinzione tra le diverse realtà societarie, si muovono in funzione del vincolo quantitativo. Di nuovo si ricade nel circolo vizioso di prezzi che non sono (anche) conseguenza dell'azienda che rappresentano.
DIFESA: Il fenomeno, al di là di situazioni particolari quali ad esempio la crisi dei debiti sovrani dell'Europeriferia nel 2011-2012, ha una sua efficacia nel breve periodo. A ben vedere, su di un arco di tempo più lungo, sono i fondamentali che scandiscono il ritmo delle danze. L’esempio arriva dal rallentamento della crescita in Cina. La minore corsa del Paese, complice il calo del prezzo del petrolio, ha contribuito alla crisi di diversi Stati emergenti. Un contesto che, negli ultimi mesi, ha influenzato molto l’andamento delle Borse mondiali. Insomma: variabili fondamentali (legate all’economia reale) hanno influenzato i mercati. Il che, per l’appunto, mostra come gli algoritmi non hanno nel medio-lungo periodo tutta la rilevanza che si vuole fare credere. Certo, può obiettarsi che molti dei modelli matematici considerano nei loro calcoli le stesse variabili macro-economiche. Tuttavia questa considerazione permette di affermare che i robot hanno un’incidenza rilevante anche su un arco di tempo più lungo. Ma, considerando anch'essi i fondamentali, non che la loro operatività crei una cesura tra realtà e azioni.
Asimmetria tecnologica
ACCUSA: Si parla troppo poco della cosiddetta «asimmetria tecnologica». Vale a dire: l’innovazione delle piattaforme di scambio; l’incremento della potenza di calcolo dei computer e sviluppo dei modelli matematici che gestiscono i prodotti finanziari richiede molti investimenti. La società in grado di sborsare queste somme acquisisce un vantaggio competitivo che gli altri operatori hanno difficoltà a contrastare. Il fenomeno è ampiamente visibile in riferimento ai cosiddetti High frequency trader (Hft). Cioè operatori automatici che sfruttano la potenza dei loro software e server per realizzare migliaia e migliaia di operazioni (di solito di piccole dimensioni) al secondo. Una gestione del trading (dagli arbitraggi sui prezzi tra diverse piattaforme di scambio fino allo sfruttamento, prima degli altri, dell’effetto di una notizia pubblicata) che difficilmente può essere contrastato dai normali operatori. Il che, inevitabilmente, crea delle asimmetrie operative ingiustificabili.
DIFESA: Chi più investe più ha diritto di potere sfruttare al meglio i suoi impieghi. In un mercato, ovviamente all’interno delle regole fissate per il suo funzionamento, gli operatori che hanno avuto la possibilità (e l’abilità) di creare sistemi automatici in grado di funzionare con maggiore efficienza hanno il diritto di potere sfruttare questo loro «atout». Certo, può crearsi l’asimmetria operativa. Tuttavia, in questo caso il problema non è di chi è riuscito ad andare maggiormente in avanti. Piuttosto di chi, invece, è rimasto indietro. Inoltre, non si può fermare l’innovazione tecnologica. Chi vuole limitare questi fenomeni è contro il progresso.
Instabilità dei mercati
ACCUSA: Nella loro forma più estremizzata, cioè gli investitori ultra-veloci, i trader automatici sono causa di instabilità dei mercati finanziari. Il 6 maggio del 2010 Wall Street (in particolare il Dow Jones) è arrivato a perdere in poco tempo circa il 9% del suo valore. Le diverse indagini compiute sull’evento (da quella del Dipartimento di Giustizia Usa fino alla Commodity Future Trading Commission) hanno accertato la presenza di algoritmi ad alta frequenza nel momento del crollo. Un’attività che, al di là delle polemiche sulle stesse inchieste, ha acuito e amplificato il movimento al ribasso. Peraltro, nonostante i mezzi di comunicazione non ne diano notizia, i cali repentini (e successivi rialzi) delle quotazioni sui titoli avvengono in continuazione. Una ricerca della Scuola Normale Superiore di Pisa e di List (società attiva nelle soluzioni per mercati elettronici) ha dimostrato che sono aumentati i flash crash multipli. Vale a dire, i micro-terremoti che coinvolgono contemporaneamente più azioni. In avvio di millennio i «co-jump», con più di 60 titoli, erano stati, sul Russel 3000, solo 9. Nel 2011, invece, hanno raggiunto quota 74 per, poi, diminuire un po’ nell'anno successivo (42). Al di là di quest’ultimo valore, la dinamica è delineata: c’è stata la crescita del fenomeno che ha portato, dal 2001 al 2012, a ben 329 micro-terremoti. Salti sincroni che, a fronte del fatto che ogni anno sul Russel 3000 sono stati analizzati i 140 titoli più liquidi, coinvolgono una porzione molto ampia dell'operatività di Wall Street. Insomma, la presenza degli Hft crea non pochi problemi alla stabilità dei mercati.
DIFESA: Certo, alcune situazioni negative possono essere conseguenza degli Hft. Tuttavia le recenti strette regolamentari, da un lato hanno ridotto il fenomeno. E, dall’altro, hanno eliminato gli abusi. Ciò detto, i flash trader creano anche dei benefici al mercato. Ad esempio, forniscono liquidità. Gli Hft, infatti, sono in grado di replicare l’attività dei tradizionali market maker. E non sono costretti, peraltro, a sottostare agli stringenti vincoli che devono essere rispettati da quest'ultimi. In un mondo borsistico dove le piattaforme alternative si sono moltiplicate e, in alcuni casi, hanno superato i mercati tradizionali potere contare sull’operatività dei flash boys è essenziale. Se venissero a mancare, gli scambi tra operatori tradizionali sarebbero più difficili. Non solo. Gli Hft, sostengono diversi studi, da un lato riducono la differenza tra i prezzi delle proposte di negoziazione in acquisto e quelli in vendita (il cosiddetto Bid-Ask spread). E, dall'altro, diminuiscono i costi di transazione.
ACCUSA: La considerazione sulla liquidità offerta ai mercati è, in linea teoria, accettabile. Tuttavia, a livello concreto, le cose stanno diversamente. Proprio perché , a differenza del market maker, l’Hft non è tenuto a porsi come controparte di tutti gli ordini in arrivo può decidere (in un lampo) di cancellare le proposte di negoziazione. È il fenomeno che molti gestori conoscono della cosiddetta «liquidità fantasma». Una situazione la quale, a ben vedere, crea non pochi problemi. Accade infatti che un investitore tradizionale, guardando il book di un titolo, pensa di essere di fronte ad un’azione facilmente scambiabile. Invece, nel momento in cui l’Hft decide eventualmente di ritirarsi, come per incanto il book di negoziazione si «asciuga», diviene illiquido.Con il che il gestore resta «incastrato» nella posizione. La considerazione, più o meno, può replicarsi con riferimento alla riduzione degli spread. L’obiezione, infatti, è che si avrà pure il chiudersi della differenza tra i prezzi in acquisto e quelli in vendita. E tuttavia, se le proposte in un lampo spariscono oppure si spostano è chiaro che la riduzione dello spread è una illusione. Non solo. Spesso questi operatori ultraveloci, proprio perchè fanno migliaia di piccole operazioni, tendono ad avere un’esposizione netta sul mercato molto limitata. Una condizione che, tra le altre cose, gli permette di operare senza avere alle spalle una grande patrimonializzazione. Nel momento in cui, però, qualcosa va storto il rischio è che le scarse disponibilità patrimoniali portino al fallimento l’investitore ultra veloce.
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