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Senza la bad bank, le sofferenze cresceranno (almeno) fino al 2018

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CREDITO

Senza la bad bank, le sofferenze cresceranno (almeno) fino al 2018

Certo, non siamo al livello di Cipro, dove i crediti deteriorati sono quasi la metà del totale dei finanziamenti del sistema bancario. O a quello della Grecia, dove è in sofferenza più di un terzo degli impieghi. Ma l'Italia, dove l'ammontare dei non performing loans è quadruplicato tra il 2008 e il 2014, passando da 87 a 327 miliardi, sta messa poco meglio: è tecnicamente deteriorato il 17% dei crediti, una cifra che vale circa un quinto del Pil. Ma quel che è peggio è che non siamo ancora alla svolta: la montagna delle sofferenze crescerà ancora almeno fino al 2018, e prima del 2020 non inizierà a invertire significativamente la rotta. Sempre che non cambi il contesto macroeconomico.

E' quanto emerge dal Rapporto Cerved Pmi 2015, che dedica un approfondimento al tema dei crediti non performing. Che secondo i principali osservatori esterni, a partire dal Fondo monetario internazionale, resta uno dei punti deboli del nostro sistema economico. Che è basato sulle piccole imprese, sovraesposte sulle banche e per questo dipendenti dal credito che queste ultime sono in grado di erogare. E qui sta il problema: le sofferenze, con il fabbisogno di capitale che si portano dietro in termini di coperture, di fatto rappresentano un freno all'erogazione di nuovi impieghi, soprattutto quelli considerati maggiormente rischiosi.

Per uscire dal circolo vizioso - meno credito uguale meno investimenti da parte delle imprese, e meno investimenti uguale meno crescita e quindi meno domanda di credito “buono” - il Governo in estate ha varato alcune misure (introdotte con la legge 132/2015) che puntano ad accorciare la durata dei fallimenti, aumentare il successo del concordato preventivo, velocizzare le procedure esecutive. Un pacchetto di interventi destinato a ridurre del 28% i tempi dei fallimenti e del 20% di quelli delle procedure concorsuali, secondo un sondaggio condotto da Cerved e Abi. Per l'estinzione delle sofferenze i tempi scenderanno da 7,3 a 6 anni; risultato: lo stock delle sofferenze è atteso raggiungere un picco nel 2018, per poi diminuire fino a raggiungere i 197 miliardi a fine 2020. In pratica, anche nel caso in cui la riforma dovesse funzionare e la ripresina incorso dovesse reggere, “le sofferenze rimarrebbero su valori simili a qulli attuali senza interventi aggiuntivi”.

E qui l'attenzione si sposta sulla bad bank. O meglio, sull'Asset management company, per usare la formula del governatore Ignazio Visco. Cioè un soggetto che sia in grado di accelerare, consistentemente e immediatamente, il mercato italiano degli Npl, dove tra il 2012 e il 2014 le banche italiane hanno ceduto o cartolarizzato appena 11 miliardi di asset, una cifra che vale appena il 2% della montagna di sofferenze che si trovano in pancia. “L'ipotesi di una bad bank che contribuisca ad accrescere la liquidità e fornisca forme di garanzia agli investitori istituzionali potrebbe contribuire in modo determinante alla crescita del mercato dei Npl - osservano dall'ufficio studi del Cerved -, riducendo l'effetto delle asimmetri informative e facilitando l'accesso di operatori con orizzonte di medio-lungo periodo, per i quali il rischio di perdite sugli investimenti rappresenta il freno principale alla partecipazione al mercato”.

Come riportato da Il Sole 24 Ore oggi in edicola, il Mef, insieme a Banca d'Italia e Cdp, ha individuato in Mediobanca e Jp Morgan, insieme a Boston Consulting, gli advisor per la messa a punto del piano definitivo, che potrebbe vedere in Sace il soggetto chiamato a prestare la garanzie sul funding del veicolo: l'ultima parola, comunque, spetterà alla Commissione europea, chiamata a esprimersi sull'eventuale presenza di aiuti di Stato. Che ridurrebbe l'appeal del veicolo rispetto alle banche, compromettendone sul nascere il funzionamento.

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