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Ghizzoni: «Così miglioreremo utili e capitale»

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Ghizzoni: «Così miglioreremo utili e capitale»

«Capitale e redditività». Per Federico Ghizzoni sono queste le due parole chiave del piano approvato ieri – all’unanimità – dal cda di UniCredit: perché al mercato, spiega il manager, la banca vuole lanciare un doppio messaggio: «Il capitale oggi è assolutamente adeguato e di qui al 2018 verrà generato in autonomia grazie alla disciplina sui costi e agli investimenti sullo sviluppo: così vorrei che fossero definitivamente dissipati, anche se per la verità ne erano rimasti pochi, i dubbi sulla necessità di un eventuale aumento». «Per il resto - sottolinea - abbiamo individuato una strada per la redditività sostenibile che ci consentirà di dare soddisfazioni crescenti ai nostri azionisti: sul come e sul quanto, deciderà il consiglio».

Ieri, però, la reazione della Borsa è stata tiepida: il titolo ha chiuso praticamente invariato.

Se penso a quanto accaduto recentemente alla presentazione di altri piani di grandi banche sono più che soddisfatto. Anche perché la prima reazione della Borsa è stata positiva, considerato che il titolo è arrivato a guadagnare anche il 3%.

È una strategia semplice e credibile, che spiegherò domani (oggi, ndr) a Londra e la settimana prossima negli Stati Uniti: è normale che il mercato prima di esprimersi voglia vedere nel dettaglio.

Tra gli obiettivi più ambiziosi c’è quello di portare il Rote all’11%, più del doppio rispetto a quello attuale. Come farete?

Riducendo i costi, cedendo le attività che non sono in grado di offrire i ritorni voluti. E poi attraverso la progressiva riduzione degli accantonamenti sui crediti deteriorati, che è un fatto certo: nonostante l’economia sia in ripresa, noi stiamo aumentando i livelli di copertura. È una scelta che pagherà in futuro.

Nel piano si parla di 4,8 miliardi di dividendi cash o di 9 in azioni entro la fine del piano. Perché?

Perché vogliamo ribadire la nostra capacità di remunerare i nostri soci in entrambi i modi. E comunque tengo a ricordare che negli ultimi anni il 75% degli azionisti ha optato per lo scrip dividend.

Parlate di un pay-out del 40%. È un traguardo compatibile con le richieste della Bce?

Assolutamente: al netto delle cedole, ci siamo dati come livello minimo di Cet1 l’11,5% a fine piano. Che nei fatti ci garantisce un buffer di capitale sufficiente a fronteggiare qualunque evenienza.

A proposito di capitale: lunedì sono usciti i criteri per il Tlac fissati da parte del Financial stability board. Preoccupati?

No, tra i costi del piano abbiamo inserito una strategia di funding che ci consenta di essere pienamente in regola già nel 2018.

Due anni fa siete stati forse un po’ troppo ottimisti sul contesto macro quanto a crescita e inflazione, oggi prevedete tassi a zero fino al 2018. Perché?

È vero, forse questa volta siamo stati anche un po’ troppo prudenti. Ma disegnando questo scenario ci siamo imposti di pensare a un gruppo costruito in maniera molto diversa: efficienza e taglio dei costi, ma anche massima attenzione alla trasformazione digitale, mettendo a frutto quanto giò abbiamo costruito finora. Entro il 2018 puntiamo a raddoppiare a 18 milioni il numero dei clienti che ci utilizzano in versione mobile, e attraverso i progetti instant lending e fast credit il 40% dei nostri clienti si troverà con il credito sul conto corrente nel giro di tre minuti.

Non a caso chiuderete 150 filiali in più del previsto solo in Italia, con 540 esuberi in più rispetto al piano di due anni fa. Il sindacato è in allarme e chiede che si tratti di prepensionamenti volontari: qual è la vostra posizione?

La disponibilità a trattare naturalmente c’è. Ma il traguardo che abbiamo posto deve essere raggiunto.

Tra le azioni del piano, c’è anche lo scioglimento della sub-holding che fa capo a Bank Austria, con le relative controllate nell’Est Europa. Perché questa scelta?

Gli accordi che riguardano la controllata Bank Austria sono in scadenza a marzo 2016, e da allora potremo ristrutturare la holding: spostare a Milano il controllo di tutte le banche estere significa alleggerire la struttura, ridurre le duplicazioni di costi e migliorare la gestione del capitale. Anche la Bce, in fondo, ci chiede di andare in questa direzione semplificando gli organigrammi.

Senza sub-holding cambierà il profilo della banca: come sarà UniCredit nel 2018?

Una banca pan-europea più integrata, con un solo riporto - al massimo - tra il ceo e i diversi mercati nazionali in cui opera. Sarà più facile decidere e creare sinergie.

L’Italia peserà di più?

Per forza. E non per una scelta manageriale: l’Italia, che dal 2011 fino a ieri ha sofferto più deglialtri mercati in cui operiamo, adesso marcia più in fretta e quindi anche per noi la torta si allarga. Non a caso abbiamo confermato non solo gli investimenti sulla struttura ma anche tutti gli impegni in termini di crediti. Che già oggi, se guardiamo ai numeri della corte bank, sono decisamente soddisfacenti.

E l’Est Europa?

Tornerà di moda, e anche in fretta: a far credito in quei Paesi c’è una redditività migliore, considerati i tassi più alti. In Centro est Europa siamo una macchina da clienti: in nove mesi ne abbiamo conquistati 900mila in più e per i prossimi quattro anni stimiamo un milione di clienti in più l’anno. E in quei Paesi la banca digitale si svilupperà ancora più in fretta visto che hanno saltato il passaggio di Internet e sono partiti direttamente dal mobile.

Siete reduci da un periodo non facile, vista l’inchiesta in cui sono rimasti coinvolti alcuni manager e il vice presidente, Fabrizio Palenzona. Anche da parte di alcuni azionisti è emersa una certa irritazione...

Se erano irritati i soci, figuriamoci il sottoscritto. Un’indagine interna è partita la sera stessa in cui abbiamo appreso dell’iniziativa della magistratura, e subito abbiamo avuto conferma che non c’era alcun piano di ristrutturazione per l’azienda Bulgarella.Il consiglio è stato sempre aggiornato,la situazione è stata gestita molto bene, ma senz’altro non ci ha fatto piacere vedere tutto questo clamore su fatti infondati.

Anche lei si è sentito in discussione?

Se uno accetta la posizione di ceo e pensa di non essere valutato giornalmente si sbaglia. Dal 2010 a oggi sono state fatte parecchie cose in UniCredit: la situazione era tutt’altro che semplice, il capitale è stato rafforzato, così come è stato affrontato in maniera decisiva il costo del rischio, visto che cinque anni fa il volume delle sofferenze cresceva a oltre il doppio del mercato e ora siamo sotto la media. Dunque un processo virtuoso è stato compiuto, anche se sappiamo che ciò che conta è solo il futuro: saremo valutati sulla capacità di generare valore per gli azionisti, il consiglio ha ritenuto di potermi dare la possibilità di guidare la banca a maggio e ora con questo piano dimostriamo di essere in grado di centrare in modo sostenibile la strada della redditività.

Intanto in Italia sembra che finalmente stia per entrare nel vivo il cantiere delle banche popolari...

Seguiamo con curiosità la vicende del nostro settore, ma non con interesse: non siamo interessati a prendere parte ad aggregazioni.

E pensare che nelle settimane scorse si è ipotizzato il progetto di una maxi-fusione con Intesa e Monte dei Paschi.

Ripeto: non abbiamo alcun interesse per le aggregazioni.

Proprio in queste ore al Fondo interbancario si sta mettendo a punto il piano di salvataggio per Banca Marche, Carife, Popolare Etruria e CariChieti, ma restano le perplessità della Commissione europea. Che ne pensa?

Abbiamo aderito alla prima ipotesi, che preveda l’utilizzo delle risorse che tutte le banche dovranno accantonare per i fondi di risoluzione, e al momento non vedo altre soluzioni realistiche sul tavolo.

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