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Ai big piace il nostro biotech

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Ai big piace il nostro biotech

In meno di una settimana aprono due accleratori per le startup delle biotecnologie. Prima BioUpper che ha dietro Fondazione Cariplo e Novartis. Ieri è stata la volta di BiovelocITA, sempre a Milano ma che vede la collaborazione del venture capital Sofinnova Partners. Dietro c’è Silvano Spinelli, chimico, 63 anni, è conosciuto soprattutto per essere l’artefice di una delle exit più importanti per le startup italiane. Siamo nel 2013 la Eos (Ethical Oncology Science) da lui guidata, aveva l’esclusiva mondiale per l’antitumorale Lucitanib. È stata rilevata dall’americana Clovis per 470 milioni di dollari.

Ma non c’è da stupirsi. Quello del biotech è un settore diverso dagli altri. Che ci vede prede e predatori. Sempre nel 2013 Menarini ha acquisito la startup italiana Silicon Biosystems col suo sistema per isolare le singole cellule tumorali presenti nel sangue. Il Gruppo Zambon ha avviato i progetti Zcube e Open Zone per accelerare lo sviluppo di nuovi farmaci e metodologie per la somministrazione facendo leva sulle startup. Il Gruppo Chiesi nel 2014 ha dato vita al fondo Chiesi Ventures che opera tra gli Usa e l'Italia per sostenere progetti nell'ambito delle malattie rare. Secondo gli osservaotori le grandi aziende delle biotecnologie hanno bisogno di startup, di innovazione dal basso. Hanno bisogno di Italia.

Tutti gli indicatori danno questo settore in crescita: 1,6% il numero delle imprese, 4,2% il fatturato complessivo che supera i 7,7 miliardi di euro, investimenti in ricerca e sviluppo 4,5% a oltre 1,5 miliardi di euro con circa 7300 ricercatori.

Qui da noi è uno dei settori che maggiormente investe in innovazione: mediamente il 19% del fatturato che cresce al 31% sulle pure biotech a capitale italiano. Anche in un confronto europeo l'Italia appare ben messa: è terza per numero di imprese. E ci sono ampi margini di miglioramento.