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Il cervellone che protegge l’euro ci dice che i saldi Nord-Sud si…

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squilibri europei

Il cervellone che protegge l’euro ci dice che i saldi Nord-Sud si allargano di nuovo. Facendo arrabbiare la Germania. Ecco perché

Tra il 2011 e il 2012 il cervellone dell’euro (il sistema Target 2) fotografava un fortissimo squilibrio tra i Paesi del Nord e del Sud Europa. La Germania vantava crediti superiori ai 700 miliari di euro e i Paesi della periferia debiti sommati equivalenti. Dopodiché, in particolare dopo che Draghi ha pronunciato il famoso “whatever it takes”, gli squilibri si sono ridimensionati.

Ma adesso, mentre siamo nel pieno del primo Qe della Bce (a cui potrebbe presto aggiungersi il Qe2) il cervellone che tiene in equilibrio l’euro e i pagamenti interbancari tra le banche dell’Eurozona ci dice che gli squilibri stanno tornando (come documenta questo grafico). A ottobre il credito Target 2 della Germania è salito a 560 miliardi di euro (era a 440 miliardi nell’estate del 2014) e il debito Target 2 dell’Italia è salito 130 miliardi (106 a luglio 2014). Ancor più forte l’aumento del debito Target 2 della Spagna balzata da 130 a 230 miliardi.

Cosa sta accadendo? L’Eurozona sta tornando in crisi e quindi anche la moneta unica? In realtà no. La motivazione che spiega il nuovo divario tra Paesi del Nord Europa e Paesi del Sud è profondamente diversa. Capirlo ci permette di comprendere un po’ meglio il motivo per cui la Germania non vede proprio di buon occhio il quantitative easing (la politica di espansione monetaria avviata dalla Bce a marzo) né tantomento un suo rafforzamento (che potrebbe essere annunciato in occasione del prossimo consiglio direttivo in programma il 3 dicembre).

Ma prima dobbiamo capire cosa è come funziona il Target 2, questa sorta di cervellone che protegge l’euro. Target2 è la piattaforma che le banche dell'Eurozona utilizzano per gestire pagamenti in entrata e in uscita nei confronti di altre banche, delle amministrazioni pubbliche o dell'Eurosistema. Il sistema è unico ma è diviso in comparti nazionali, così come anche negli Stati Uniti è diviso nei dodici distretti territoriali della Federal Reserve (che però negli Usa non coincidono con i confini degli Stati).

Per entrare nel cuore di questo cervellone bisogna però capire come viene creata oggi la moneta a livello bancario. Ci sono due tipi di moneta. La prima è creata dalle banche centrali, la seconda è creata dalle banche commerciali. La prima moneta è creata dalle banche centrali attraverso la semplice immissione di un impulso elettronico su un computer. Si tratta di moneta che non può circolare nell'economia reale ma viene utilizzata in un conto bancario che le banche commerciali devono detenere presso le banche centrali nazionali (dove sono obbligate a tenere delle riserve in un apposito “conto riserve”). Anche le banche commerciali emettono moneta attraverso impulsi elettronici e lo fanno nel momento in cui concedono prestiti ai clienti. Ma è importante sapere che nel sistema Target 2 circola solo la moneta delle banche centrali, quella delle riserve bancarie, che serve per i pagamenti interbancari. Nel “conto corrente riserve” presso la banca centrale deve essere presente una riserva obbligatoria (in percentuale dei depositi o delle obbligazioni emesse dalla banca, viene stabilita dalla Bce come strumento di politica monetaria, viene aumentata quando intende sottrarre liquidità dal sistema per drenare la crescita, o aumentata per ottenere un effetto opposto). Oltre alla riserva obbligatoria una banca può depositare in questo “conto riserve” presso la banca centrale anche riserve libere, per agevolare le operazioni di pagamenti con altre banche. Di giorno può utilizzare tutte le riserve ma la sera almeno la riserva obbligatoria deve rientrare.

«Fece notizia quando nel pieno della bufera sull'Eurozona nel 2011-12, i singoli comparti nazionali registrarono contabilmente quanto stava accadendo, e cioè una corsa a spostare depositi dalla “periferia” al “core” e un rifiuto delle banche core a lasciare liquidità in prestito alle banche della periferia - spiega Andrea Terzi, docente di Politica monetaria all’Università cattolica di Milano -. Questa crisi di fiducia nel valore dei depositi in euro nei paesi a rischio” si rifletteva sui saldi T2 nazionali e mise in luce il saldo positivo crescente della Germania, Olanda, Lussemburgo, e Finlandia, e quello sempre più negativo di Spagna, Italia, Irlanda e Grecia. La crisi cessò soltanto con l'annuncio di Draghi. Il significato del whatever it takes (e lo scudo anti spread) era che la Bce avrebbe garantito, se necessario, i prezzi dei titoli di Stato sotto attacco. Fu una decisione concordata in ambito politico, che salvò l'esistenza per così dire “tecnica” dell'euro. I saldi T2 cominciarono a convergere verso zero, cioè verso la normalità. Ma nell'ultimo anno, i saldi si sono nuovamente allargati».

Si ripete la storia della crisi di fiducia? «Non ce ne sono le premesse ed è da escludere.
Si tratta invece di un fenomeno diverso, legato alla politica degli acquisti di titoli dell'Eurosistema e del livello dei tassi ufficiali - prosegue Terzi -. A quanto pare una parte molto importante delle vendite di titoli è effettuata dalle banche “core”, soprattutto per conto dei propri clienti (che comprendono anche ordini che provengono dall'esterno dell'Eurozona - i clienti fuori Eurozona hanno evidentemente una preferenza per le banche tedesche come banche corrispondenti in Europa). Questo significa che la liquidità a credito delle banche core cresce. Quando ciò accade (in assenza di crisi di fiducia come nel 2011) le banche core dovrebbero essere ben liete di prestare la liquidità ad altre banche dell'Eurozona. Il fatto che i saldi T2 si allarghino ci dice il contrario. Le banche core prestano poco o nulla alle banche del Sud Europa. E la spiegazione è probabilmente questa. In primo luogo, c'è una limitata domanda di prendere a prestito liquidità in condizioni di liquidità abbondante. In secondo luogo, le banche “core” richiedono un premio al rischio quando prestano fuori dal “core”. È il rischio di controparte che persiste, sebbene a livelli ben lontani dalle condizioni drammatiche del 2011. Le banche che chiedono liquidità sarebbero anche disposte a pagare un tasso più alto se non fosse che la Bce offre liquidità allo 0,05% con le Mro (operazioni a mercato aperto) e 0,30% con le Marginal lending facility (prestiti overnight a fronte di collaterali). Per le banche italiane e spagnole le condizioni dell'Eurosistema devono apparire più vantaggiose rispetto al tasso interbancario praticato dalle banche tedesche».

I saldi T2 non fanno altro quindi che riflettere l'attività di prestito delle banche italiane, spagnole, eccetera dalle proprie rispettive banche centrali nazionali. «Quando una banca italiana cerca liquidità per effettuare un pagamento in Germania potrebbe prendere in prestito la liquidità in eccesso in Germania. Ma preferisce invece farsi prestare liquidità dalla Banca d'Italia (ai tassi più bassi decisi dalla Bce, ndr) per poi pagare la banca tedesca la quale a sua volta si ritrova un saldo di liqiuidità ancora maggiore di prima. Se teniamo conto che la liquidità in eccesso viene correntemente tassata dello 0,20% dalla Bce, dobbiamo anche considerare che l'abbondante liquidità a credito delle banche creata dal «Qe» contribuisce a ridurre l'utile delle banche, soprattutto di quelle “core”». Ecco quindi perché la Germania e le banche tedesche sono contrarie al Qe, perché in via indiretta le costringe ad operare con tassi negativi, riducendo quindi i margini. Queste non riescono a girare l’eccesso di liquidità presso le altre banche europee che invece preferiscono finanziarsi attraverso la Bce, portando così un aumento degli squilibri nella stanza di compensazione dei pagamenti europei chiamata Target 2.

«Ridurre ulteriormente il tasso già negativo sulla liquidità in eccesso delle banche potrebbe contribuire a invertire la tendenza dei saldi T2, ma ciò non avrebbe alcuna rilevanza sulla salute dell'economia e delle banche europee. L'unica giustificazione è quella di mantenere l'euro deprezzato rispetto al dollaro. In assenza di uno stimolo fiscale europeo, e in tempi in cui i privati non sono disposti a indebitarsi di più, non resta che contare sulle esportazioni nette per tenere a galla il Pil europeo».

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