Le nuove regole europee in materia di gestione delle crisi bancarie hanno creato molta confusione tra i risparmiatori e gli addetti ai lavori. Vediamo di fare un po’ di chiarezza riassumendo i termini della questione anche con l’aiuto di un documento messo a punto l’estate scorsa da Banca d’Italia.
Le nuove regole europee
La direttiva Brrd (Bank Recovery and Resolution Directive) introduce in tutti i Paesi europei regole analoghe per gestire le crisi bancarie a partire dal 1° gennaio 2015. La parte relativa al coinvolgimento dei privati nelle crisi bancarie (bail-in) entrerà invece in vigore in tutti i Paesi europei il 1° gennaio 2016. La Brrd istituisce delle autorità di risoluzione che concidono con le banche centrali nazionali. Nel caso italiano dunque l’autorità di risoluzione è Banca d’Italia. A essa sono attribuiti i poteri per: pianificare la gestione delle crisi; intervenire per tempo; gestire al meglio la fase di “risoluzione”.
Perché sono state introdotte?
Fino a oggi le crisi bancarie in Europa sono state gestite con iniezione di fondi pubblici, cioè in ultima analisi con i soldi dei contribuenti. La Bce stima che tra il 2008 e il 2014 i costi dei salvataggi a carico degli Stati europei siano stati di 800 miliardi. Questo ha comportato un forte aumento del debito pubblico in molti Paesi, con conseguenti dure misure di austerità per evitare che i bilanci pubblici esplodessero. Secondo i dati Eurostat, a fine 2013 gli aiuti ai sistemi finanziari nazionali avevano fatto lievitare il debito pubblico di quasi 250 miliardi di euro in Germania, 60 in Spagna, 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, poco più di 40 in Grecia. In Italia - che durante la crisi aveva sempre sostenuto di non aver bisogno di aiuti per il suo sistema bancario - il sostegno pubblico è stato molto limitato: circa 4 miliardi, tutti ormai rimborsati. Con poche eccezioni, dunque, i contribuenti europei hanno pagato un conto molto salato per salvare le banche. Nasce da questo problema la direttiva Brrd, che si pone l’obiettivo di accollare tutti i costi delle crisi bancarie sugli investitori privati piuttosto che sui contribuenti.
Che cos'è la risoluzione di una banca e quando avviene?
Sottoporre una banca a risoluzione significa avviare un processo di ristrutturazione che mira a evitare interruzioni nei servizi essenziali come depositi e pagamenti. L'alternativa alla risoluzione è la liquidazione. Bankitalia può imporre la risoluzione di una banca se vengono soddisfatte tre condizioni: la banca è in dissesto o a rischio di dissesto, per esempio quando ha azzerato o quasi il suo capitale; misure come gli aumenti di capitale sono ritenute insufficienti a evitare il dissesto; sottoporre la banca alla liquidazione ordinaria non permetterebbe di salvaguardare la stabilità finanziaria del sistema e di proteggere depositanti e clienti.
Quali sono gli strumenti di risoluzione?
Prima di arrivare a toccare gli investitori che hanno investito nella banca in crisi, le autorità di risoluzione potranno: vendere una parte delle attività a un acquirente privato; trasferire temporaneamente le attività e passività a un'entità (bridge bank) costituita e gestita dalle autorità per proseguire le funzioni più importanti, in vista di una vendita; trasferire le attività deteriorate a un veicolo (bad bank) che ne gestisca la liquidazione; solo in ultima battuta applicare il bail-in, ossia svalutare azioni e crediti degli investitori. L'intervento pubblico è previsto soltanto in circostanze straordinarie e solo dopo che i costi della crisi siano ripartiti con gli azionisti e i creditori attraverso l'applicazione di un bail-in almeno pari all'8 per cento del totale delle passività della banca.
Che cosa è il bail-in e come funziona?
Il bail-in (salvataggio interno, da contrappore al bail-out, cioè il salvataggio esterno) è uno strumento che consente alle autorità di risoluzione di disporre, al ricorrere delle condizioni di risoluzione, la riduzione del valore delle azioni e di alcuni crediti o la loro conversione in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca.
Cosa rischiano i risparmiatori?
Il bail-in segue una precisa gerarchia: chi investe in strumenti finanziari più rischiosi si accolla le perdite prima degli altri. L’ordine è questo: prima pagano gli azionisti della banca in crisi; poi i detentori di obbligazioni subordinate; poi i creditori chirografari (quelli privi di garanzie, come i detentori di obbligazioni senior); poi le persone fisiche e le piccole e medie imprese titolari di conti correnti i nquella banca per un importo superiore a 100.000 euro; infine il Fondo interbancario di garanzia dei depositi, che contribuisce al bail-in al posto dei depositanti al di sotto dei 100mila euro, protetti dallo stesso Fondo. Gli investitori insomma devono fare estrema attenzione ai rischi di alcune tipologie di investimento. È questo il caso soprattutto dei detentori di obbligazioni subordinate, così chiamate proprio perché sono la categoria di bond che viene rimborsata per ultima in caso di default dell’emittente. Come spiegano i fogli informativi di questi strumenti finanziari, «i sottoscrittori saranno rimborsati solo dopo che siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori non subordinati». I bond subordinati sono quelli venduti da Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti e che hanno visto ridurre drasticamente o azzerare il loro valore.
E cosa rischiano i depositanti?
I depositi fino a 100.000 euro, cioè quelli protetti dal Fondo di garanzia dei depositi, sono esclusi dal bail-in. Questa protezione riguarda, ad esempio, le somme detenute sul conto corrente o in un libretto di deposito e i certificati di deposito coperti dal Fondo di garanzia; non riguarda, invece, altre forme di impiego del risparmio quali le obbligazioni emesse dalle banche. Facciamo un esempio: un correntista ha un conto da 120mila euro in una banca che viene sottoposta alla procedura di risoluzione. A rischio di incappare in perdite sono i 20mila euro eccedenti i 100mila coperti da garanzia. Quanto agli investimenti in BoT, BTp, fondi, azioni e quant’altro che il correntista gestisce attraverso il deposito titoli della banca in questione, non sono mai a rischio.
Quali passività delle banche sono escluse dal bail-in?
Non possono essere né svalutati né convertiti in capitale: i depositi di importo fino a 100.000 euro; le passività garantite, inclusi i covered bond e altri strumenti garantiti; le cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito. Esclusi anche i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare.
Cosa si intende per “decreto salva-banche”?
Il cosiddetto “decreto salva banche” è un provvedimento che il governo ha varato domenica 22 novembre per gestire il salvataggio delle quattro banche in difficoltà (Banca Marche, CariChieti, Banca Etruria e CariFerrara). Questo è stato fatto per gestire il salvataggio dei quattro disastrati istituti di credito prima dell’entrata in vigore del «bail-in» in modo da evitare il coinvolgimento delle categorie più deboli: gli obbligazionisti senior e i correntisti. Questo è stato possibile grazie a un fondo di risoluzione da 3,6 miliardi di euro a cui, a regime, contribuirà l’intero sistema bancario (anche se nell’immediato la liquidità è stata anticipata da Unicredit Intesa Sanpaolo e Ubi).
È previsto l’impiego di soldi pubblici?
No l’intervento é finanziato in gran parte dalle banche “sane”. Il prestito garantito dal fondo di risoluzione dovrebbe essere rimborsato una volta che la parte buona “good bank” e cattiva “bad bank” dei quattro istituti salvati sarà ceduta sul mercato. Non ci sono soldi pubblici messi in campo ma un rischio per i contribuenti c’è ed è dettato dal fatto che la Cassa depositi e prestiti ha messo la garanzia sulla cessione degli asset (malati e non) degli istituti di credito salvati.
Chi altro è chiamato a contribuire?
L’obiettivo del piano “salva banche” era quello di evitare il coinvolgimento delle categorie più deboli di creditori. Nei fatti però una fetta importante dei clienti (aziende e risparmiatori) si è trovata suo malgrado a “salvare” la banca. Si tratta cioè degli azionisti e dei titolari di obbligazioni di grado inferiore al senior. In primo luogo dei titolari dei 728 milioni di euro di bond subordinati, che sono in tutto un numero limitato: sono infatti 10.350, pari a una media di circa 70mila euro investiti in questi bond da ciascun risparmiatore. Queste categorie di risparmiatori hanno visto il valore del proprio investimento azzerarsi dal giorno alla notte.
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