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Ora l'arbitrato sia rapido ed efficace

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SALVATAGGI BANCARI

Ora l'arbitrato sia rapido ed efficace

In Italia, quando ci sono di mezzo le obbligazioni, il rapporto fra banche e imprese è destinato a complicarsi. Oggi sono i titoli subordinati delle quattro banche poste in liquidazione, ma in precedenza abbiamo avuto Cirio, Parmalat e tutti i titoli strutturati che venivano offerti a condizioni di tasso inferiore rispetto al rischio implicito, come ha per anni dimostrato la Consob. Il “risparmio tradito” è un film che in Italia prevede molti sequel.

La novità della recente vicenda è data dal fatto che per la prima volta è scattata la tagliola del bail-in e per la prima volta molti risparmiatori italiani hanno capito sulla loro pelle la differenza fra la condizione dei depositanti (pienamente tutelati dall'assicurazione fino a 100mila euro) e quella degli altri creditori. È una trasformazione epocale, che è parte integrante dell'Unione bancaria costruita negli ultimi tre anni sotto la spinta della crisi europea e come tale ampiamente annunciata. Alla Commissione di Bruxelles non è sembrato vero di avere una prima vittima sacrificale per dimostrare la severità del nuovo corso e abbellire il carro del vincitore tedesco che - dopo aver speso miliardi per salvare le proprie banche - ha giurato che nemmeno un euro di soldi pubblici sarà usato non si dice per salvare quelle degli altri, ma neppure per tutelare i risparmiatori. Non a caso, una delle alternative proposte da Bruxelles prevedeva uno spargimento di sangue ancora più esteso.
Fra i tanti dubbi, anche inquietanti, proposti da questa vicenda emerge un'unica certezza: la colpa non è di una disciplina inadeguata. Alla normativa italiana del Testo Unico, già all'avanguardia, si sono infatti sovrapposti in pochi anni gli aggiornamenti della legge del 2005 (conseguente al caso Parmalat) e quelli della direttiva Mifid.

Anzi, se c'è un problema con il quadro regolamentare vigente è quello di creare un castello apparentemente inespugnabile fatto di accertamenti rigorosi sul cliente e sulle sue esigenze e di prospetti tanto voluminosi, quanto incomprensibili ai più. Ma i primi e soprattutto i secondi offrono la comoda scusa ex post del “io te l'avevo detto” (che ha solo l'effetto di aggiungere le beffe al danno e di apparire quindi come un drappo rosso sventolato di fronte al risparmiatore infuriato), ma non sempre assicurano la tutela sostanziale del risparmiatore, che è per definizione preventiva.

Non a caso, le cinque semplici regole del “Manifesto per il risparmio” pubblicate ieri da questo giornale non richiedono innovazioni straordinarie e molte sono attivabili da subito. In particolare, quella che riprende il vecchio tema del prospetto semplificato, che illustri in modo chiaro e sintetico i rischi effettivi dell'investimento compreso quello, ormai fondamentale, di perdere l'intero capitale investito. E per esprimere in concreto questo elementare concetto non c'è bisogno di una “sezione rischi” di prospetto che prenda in considerazione l'universo mondo e i suoi dintorni.

Il Manifesto propone anche misure legate al controllo di pratiche commerciali aggressive, incentivate all'interno delle banche da meccanismi premianti che rischiano di anteporre l'interesse degli emittenti a quello dei clienti. È un tema assai delicato che ancora una volta più che innovazioni normative richiede pratiche di enforcement frequenti e severe. Gli Stati Uniti hanno creato un canale sistematico per dare un seguito effettivo ai reclami degli utenti dei servizi bancari, non solo quelli di investimento, ma anche quelli di prestito. La nuova authority (di cui peraltro non si sentiva il bisogno in un quadro regolamentare già ridondante) ha messo a segno importanti risultati e alla fine di ottobre aveva trattato quasi 800mila reclami, indicando anche nominativamente le banche che attirano sistematicamente le lamentele dei clienti. Un ulteriore avvertimento, ben più efficace delle clausole scritte in piccolo dei prospetti.

Nel Regno Unito, la Financial Conduct Authority, nata dall'ennesima ristrutturazione delle autorità di vigilanza in materia finanziaria, ha avviato severe azioni contro le pratiche di mis-selling come vengono definite con understatement britannico le pratiche commerciali scorrette che hanno portato i risparmiatori a sottoscrivere prodotti (soprattutto pensionistici) più rischiosi dell'apparenza o comunque inadatti alle effettive esigenze. Nel caso dei derivati venduti alle imprese, l'autorità che aveva individuato una frequenza elevata di irregolarità in un'indagine campionaria, ha ottenuto che le banche “spontaneamente” provvedessero a rinegoziare le condizioni.

Sono forse questi gli esempi che hanno ispirato la soluzione del governo di creare un meccanismo di arbitrato ad hoc, che esaminerà caso per caso gli interventi da realizzare e che deciderà la misura dei risarcimenti. Si tratta di una soluzione efficace perché evita le lungaggini dei tempi della giustizia civile italiana, perché fissa il principio che c'è un vulnus da sanare e soprattutto perché mette a disposizione risorse importanti.

In questo modo, il sistema bancario italiano riuscirà ad uscire dall'imbarazzante contraddizione di essere al tempo stesso l'unico che non ha avuto bisogno di soldi pubblici per salvare le banche e il primo in cui acquirenti di titoli bancari (diversi dagli azionisti) hanno visto azzerare il loro investimento. Comunque, ciò che è avvenuto deve servire di insegnamento per il futuro e per far capire che occorre saper tradurre in pratica il motto della Sec americana che è “il paladino dell'investitore”. Un'immagine forse un po' romantica, ma nel mondo dei “cavalieri antiqui” non si badava troppo ai cavilli formali e se c'era bisogno, si sapeva brandire la Durlindana.

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