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Così i bond subordinati di Etruria sono finiti nei conti dei piccoli…

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RETROSCENA

Così i bond subordinati di Etruria sono finiti nei conti dei piccoli clienti

Erano i piccoli clienti, avidi di rendimenti aggiuntivi e consapevoli del rischio, a volere i bond subordinati o era la banca a spingere con forza la vendita di questi prodotti? L'interrogativo in cerca di risposta sarà al centro delle future indagini. Di certo ogni singola posizione andrà valutata con attenzione e generalizzare è fuori luogo. Ma emerge dai bilanci dell'Etruria una forte disintermediazione della raccolta obbligazionaria (tra cui i subordinati) dalla clientela istituzionale (cioè altre banche e investitori qualificati) ai privati cioè ai clienti-soci. Si vendono bond non più a chi è in grado di apprezzarne bontà ed eventuale pericolosità ma al retail in cerca di rendimenti più alti.

Nel bilancio del 2013 la banca scrive che «non ha rinnovato bond istituzionali in scadenza nel 2013 per 125 milioni e ha anticipato per altri 161 milioni il riacquisto di bond dalla clientela istituzionale che scadranno in futuro». Ma l'Etruria non può permettersi di farsi mancare forme di finanziamento. La crisi è già palese e il patrimonio scricchiola. E allora la ricetta è semplice: si compensa il venir meno di questa fonte di denaro con i piccoli risparmiatori cui vengono proposti i bond di casa tra cui ovviamente i subordinati.

La scelta viene enfatizzata con un termine astruso ma chiarissimo nei suoi intenti: «la granularizzazione della raccolta», così scrive la banca nel bilancio. Non più pochi soggetti professionali ma la disseminazione a pioggia di piccoli importi sui singoli clienti. Una pratica avviata in realtà con forza già nel 2012, l'anno in cui si decide la nuova strategia. E perchè proprio quell'anno? Nel febbraio 2012 l'Etruria rigetta l'agenzia Fitch che ha assegnato alla banca un rating (speculativo) di BB+, il peggiore tra tutte le medie banche italiane. La motivazione è che il rating non serve perché la banca decide di non rivolgersi più al mercato istituzionale nella vendita delle sue obbligazioni. Costerebbe troppo in termini di rendimento chiesto, dato il pessimo rating. La banca però che ha già oltre 230 milioni di subordinati sul mercato non può permettersi di rinunciare tout court a nuovi collocamenti.

I subordinati aiutano a incrementare i requisiti di patrimonio che verranno messi a dura prova dalla montagna di crediti in sofferenza. Fitch dimostra che i crediti malati già a fine 2011 sono il doppio rispetto alla media delle altre banche. Gli investitori professionali lo sanno e sanno che il rischio è alto e richiederebbero rendimenti almeno sopra il 7%. Ecco allora la soluzione. Si sposta la vendita sulla piccola clientela. Tra l'altro offrendo rendimenti non certo da leccarsi le dita. La subordinata 2013-2018 ha una cedola lorda di solo il 3,5%. Ma non finisce qui. Ad aprile del 2014 ecco lo stop al riacquisto di tutti i subordinati della banca sul mercato secondario.

Cioè Etruria smette di riacquistare da chi volesse liberarsene i propri bond subordinati e in un comunicato spiega che valuterà, nell'interesse dei clienti, forme alternative di smobilizzo. Saranno state trovate? Chissà? Sta di fatto che chi ha comprato è bloccato. Quel che è avvenuto è scritto nero su bianco. Si dirà che molte banche hanno disintermediato dagli istituzionali al retail. E ha una sua logica convenienza. Ma per le banche in salute. Etruria era già pericolante e soprattutto l'aver rifiutato il rating l'ha messa nelle condizioni di ricorrere solo ai piccoli clienti. Erano tutti informati del rischio? Lo diranno le inchieste.

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