
Il rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve ha spazzato via solo una parte delle incertezze per il mercato dell’oro, che non a caso ha reagito in modo scomposto all’annuncio della prima stretta monetaria negli Usa dal 2006.
Nell’immediato le quotazioni del metallo - che avevano già ampiamente scontato l’evento - si sono rafforzate, avanzando di oltre l’1 per cento. Ieri però il rialzo è stato più che cancellato: le vendite hanno riportato il lingotto sotto 1.050 dollari l’oncia, a meno di 2 $ di distanza dal minimo quinquennale del 3 dicembre (1.045,85 $ sul mercato spot londinese).
Il dollaro, anch’esso incerto subito dopo la Fed, nel pomeriggio di ieri è tornato a rafforzarsi e l’oro, come spesso accade, ne ha risentito. Anche nel prossimo futuro è probabile che le sorti dei due asset resteranno legate in modo stretto. Ma le previsioni sulla direzione dei prezzi del metallo non sono concordi
Molti operatori in realtà si aspettano una risalita. Mercoledì a New York c’è stato un boom di vendite sulle opzioni put che danno il diritto di vendere oro per 1.000 $/oz a gennaio: sono passati di mano ben 2.200 titoli e il ribasso è stato del 46 per cento. Viceversa sono salite del 50% le opzioni che danno diritto a comprare nello stesso mese a 1.100 $.
Su 28 trader e analisti sondati da Bloomberg, 17 scommettono su un recupero dei prezzi dell’oro nel 2016, dopo tre anni consecutivi di ribassi (quest’anno di circa il 10%). Gli ottimisti - che in media prevedono 1.200 $ per fine 2016 - sono incoraggiati proprio dal fatto che la Fed si sia finalmente mossa. È vero che l’oro, privo di un rendimento intrinseco, in teoria è meno attraente quando i tassi di interesse salgono. «Molta gente però - osserva Tom Kendall, analista di Icbc Standard Chartered - spera che il primo rialzo dei tassi segni l’inizio di un periodo in cui l’oro gradualmente ricomincia ad essere guidato da fattori fondamentali».
Tra l’altro, come fa notare Credit Suisse, de gli ultimi sette cicli di stretta monetaria negli Usa quattro sono stati accompagnati da un rialzo e non da un ribasso delle quotazioni del metallo prezioso. Il contesto era comunque molto diverso da quello attuale. A fine anni ’70 ad esempio i tassi furono alzati in risposta alla forte inflazione, per cui l’oro offre protezione in portafoglio. Adesso invece è la deflazione a fare paura (e per petrolio e materie prime in generale, che stanno già andando picco, la svolta della Fed minaccia di essere un ulteriore fattore negativo).
Quanto ai rialzi dei tassi d’ interesse tra il 2004 e il 2006, arrivarono in un periodo in cui l’oro era sostenuto da fondamentali davvero robusti: fu proprio allora che la nascita degli Etf fece esplodere la domanda per investimento. Inoltre le società aurifere stavano chiudendo gli hedge book, ossia stavano ricomprando l’oro che avevano venduto a termine a prezzi che si erano rivelati tutt’altro che favorevoli.
Oggi l’hedging è una rarità. E gli Etf da tre anni subiscono riscatti quasi continui: il loro patrimonio mercoledì è sceso a 1.463,1 tonnellate, il minimo da febbraio 2009. Più in generale, ci sono ben pochi fattori di sostegno per l’oro. Anche la domanda di Cina e India, che pure si è rafforzata nelle ultime settimane, appare fragile e comunque è molto sensibile alle variazioni di prezzo.
Non tutti gli analisti vedono rosa. Alcuni, come quelli di Société Générale, sono convinti che il lingotto sfonderà presto al ribasso la soglia dei 1.000 $/oncia, per arrivare a 955 $ entro fine 2016. Ancora una volta, molto dipenderà dalla Fed: se sarà più o meno aggressiva nel guidare la risalita dei tassi.
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