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La Fed ha mantenuto le promesse, ma adesso quale direzione prenderanno le Borse?

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I mercati non sono poi così complicati. Possono percorrere solo tre strade: salire, scendere o fare un misto di entrambe le cose in un trend che viene definito laterale. Nel 2015 hanno seguito prima un trend rialzista. Dopodiché, da maggio in poi, il trend si è trasformato in “laterale”. I listini azionari sono entrati in una sorta di ascensore, facendo su e giù.
Le quotazioni attuali sono lontane dai massimi dell'anno quando il FTSE MIB ha toccato due volte i 24mila punti (per gli amanti delle statistiche e di chi sostiene che nel lungo periodo le Borse hanno sempre ragione vale però ricordare che nel 2000 il Ftse Mib era a 45mila punti, praticamente il doppio), il Dax30 di Francoforte è sotto 11mila punti (rispetto a un picco oltre i 12mila). Paradossalmente è Wall Street la Borsa più vicina al picco storico: quei 2.108 punti dell'indice S&P 500 che adesso staziona in area 2.040.

Sembra un paradosso perché Wall Street – dopo anni di violenti rialzi seguiti alle forti manovre espansive avviate dalla Federal Reserve dal 2009 – quest'anno ha invertito la politica monetaria con la Federal Reserve che mercoledì scorso ha alzato i tassi di interesse (per la prima volta dal 2006) portando il costo del denaro in un range compreso tra 0,25% e 0,5%. La teoria, in generale, vuole che quando le banche centrali alzano i tassi accadano tre cose: 1) le obbligazioni circolanti vengono vendute per adeguare il rendimento (che viaggia in direzione opposta ai prezzi) ai tassi crescenti; 2) i capitali internazionali (ormai senza vincoli) tendono ad affluire verso il Paese che ha alzato i tassi, soprattutto sulle obbligazioni di nuove emissione a breve termine perché queste diventano più attraenti (ed è quello che è accaduto nelle ultime aste di titoli Usa dove il 65% della domanda è arrivata dall'estero); 3) le Borse hanno nel mercato obbligazionario primario un rivale più potente, in grado quindi di offrire remunerazioni più competitive che in passato.

Dalla teoria alla pratica però ce ne passa. Anche perché ogni caso, ogni rialzo, va analizzato con cura e contestualizzato. Osservando la situazione attuale infatti l'unica certezza di fondo è che siamo in un territorio inesplorato. È vero che la Fed ha rialzato i tassi di 25 punti base e intende portarli all'1,375% entro il 2016 (quindi circa altri 4 ritocchi nell'anno prossimo) ma è anche vero che questo dipenderà da come andrà l'inflazione. Quella “core” (depurata per gli effetti sui prezzi delle materie prime) viaggia intorno al 2%, l'obiettivo di fondo della Fed e delle altre principali banche centrali. Tuttavia l'andamento dell'inflazione resta un’incognita, considerato che sui mercati valutari sta andando in scena un altro trend, quello rialzista del dollaro su scala globale con il dollar index ai massimi dal 2003, che effettua una pressione deflazionistica. Gli analisti continuano a vedere un dollaro forte, proprio perché gli Stati Uniti sono l'unica banca centrale che ha iniziato ad alzare i tassi mentre le altre stanno ancora stampando moneta. Oggi la Banca del Giappone – giusto per fare un esempio – ha addirittura annunciato che acquisterà Etf di società che fanno investimenti.

Detto ciò, che strada prenderanno le Borse? Gli analisti (giustamente) distinguono i listini in base alle aree geografiche. Quanto a Wall Street, secondo i gestori di Fidelity «in genere, nel periodo immediatamente successivo al primo rialzo, la volatilità si accentua e sono possibili correzioni. Tuttavia, come dimostra l'andamento storico dell'S&P 500 negli ultimi 20 anni dopo i rialzi dei tassi, nell'anno successivo al primo rialzo dei tassi, i rendimenti sono stati positivi in tutti e quattro i cicli considerati, con una crescita media del 6,8%».

Ma non la pensano tutti così. «L'aumento dei tassi e le dichiarazioni del FOMC è stato la base del nostro outlook di mercato per il 2016. Non vi è quindi la necessità di cambiare i nostri inviti strategici: restiamo costruttivi sulle azioni dei mercati sviluppati con una leggera preferenza per l'Europa e il Giappone rispetto agli Stati Uniti. I nostri obiettivi di fine anno sono 2.170 per lo S&P 500, 11700 per il DAX, 3600 per l'Eurostoxx 50 e 1.030 per l'indice MSCI Japan. Da un punto di vista settoriale, abbiamo messo sotto osservazione il settore tecnologico, dei beni di consumo ciclici e finanziari – spiega Stefan Kreuzkamp, chief investment officer di Deutsche asset & wealth management. Quest'ultimo settore ha storicamente sovraperformato il mercato nelle fasi di rialzo dei tassi di interesse. Riconosciamo i rischi di mercato connessi all'aumento dei tassi della Fed, per esempio sono prevedibili deflussi dalle classi di attività a maggior rischio, come gli Stati Uniti o le obbligazioni ad alto rendimento dei mercati emergenti. Alla luce della forza dei fondamentali della maggior parte delle aziende dei mercati sviluppati, utilizzeremo le debolezze dei mercati azionari seguenti la decisione della Fed come opportunità tattica di acquisto».

Secondo Alessandro Picchioni, Presidente e Direttore investimenti di WoodPecker Capital «sui mercati azionari riteniamo probabili correzioni del 10-15% nei primi mesi del 2016, quando l'atteggiamento della Fed sui tassi potrebbe essere ambiguo e portare i mercati a pensare che la politica monetaria sia più restrittiva di quanto già scontato dai prezzi. Passata l'incertezza iniziale, le buone valutazioni, gli utili stabili o in leggera crescita e la mancanza di alternative di investimento traineranno al rialzo Wall Street che chiuderà il 2016 con ottimi guadagni. I mercati europei seguiranno gli Usa ma attenzione: le banche potrebbero avere difficoltà ad ottenere un ritorno adeguato sul capitale e addirittura veder peggiorare la propria marginalità qualora un qualsiasi inatteso rallentamento economico facesse lievitare ancora le sofferenze. A certi livelli di tasso negativo, inoltre, la politica della BCE potrebbe essere controproducente. Si dovranno dunque privilegiare i mercati che pesano bene il settore industriale come il Dax. Il Ftse Mib ha sovra-performato nel 2015 ma riteniamo probabile una sua sotto-performance nel 2016, quando difficilmente potrà riportarsi ai massimi del luglio scorso».

Preferisce l'Europa agli Usa Luca Gianelle, Client portfolio manager del team multi-asset di Russell Investments: «Imercati sembrano aver già anticipato un aumento dei tassi e averlo prezzato nelle ultime settimane – anche nel rally di novembre in attesa di un rialzo. Secondo la nostra view, tale rally era un segno che l'indecisione della Fed stesse alimentando la volatilità. Ora ci attendiamo che le società più sensibili ai tassi, come le utility e i Real Estate Investment Trusts (Reit) possano avere qualche impatto negativo. Anche i mercati emergenti potranno subire qualche contraccolpo, data la loro sensibilità ai tassi americani; inoltre, tassi statunitensi più alti tendono ad attrarre capitali. Tuttavia, ci sono alcuni segnali che mostrano come questi mercati abbiano già parzialmente prezzato un rialzo a lungo anticipato. Anche in ottobre, alcuni banchieri centrali dei mercati emergenti in occasione di una conferenza dell'Fmi avevano sollecitato la Fed a procedere sulla strada di un rialzo».

«Mentre ci accingiamo a entrare nel 2016, la domanda principale è se la Fed metterà un freno o accelererà il rialzo. È più probabile che la Fed assuma un approccio cauto. Il Presidente della Fed Janet Yellen ha svelato chiaramente le sue intenzioni a novembre in uno scambio di lettere con il noto avvocato Ralph Nader. In esso, ha illustrato la propria opinione secondo cui rialzi dei tassi eccessivamente aggressivi possono rallentare l'attuale crescita economica, costringendo a un rapido ritorno ai tassi vicini allo zero visti negli ultimi sette anni. La natura pressoché debole della crescita economica - i dati sulla disoccupazione americana al 5% non prendono in considerazione i cosiddetti lavoratori scoraggiati o quelli che lavorano part-time e vorrebbero lavorare a tempo pieno - conferma la view della Yellen. Prevediamo, quindi, quattro leggeri aumenti dei tassi durante il prossimo anno, piuttosto che aumenti molto rapidi o tagli dei tassi».

«Prima di questo rialzo, avevamo visto il dollaro Usa in costante aumento durante lo scorso anno. Ecco perché continuiamo a essere neutrali sull'azionario statunitense. Un dollaro forte continuerà a pesare sui profitti delle società multinazionali e manifatturiere che si basano molto sulle esportazioni. Ciò, unito a tassi di interesse più alti, ci induce ad avere maggior convinzione sui mercati azionari europei, dove la Banca Centrale Europea all'inizio del mese ha comunicato un pacchetto di politiche volte ad aiutare a migliorare la crescita».

«Nel complesso, vediamo positivamente la decisione della Fed. Offre ai mercati una qualche ragionevole certezza per il futuro e, considerato l'approccio molto cauto della Fed nel periodo precedente al rialzo, rappresenta un segnale di fiducia sull'economia americana nel lungo periodo. Il test reale avverrà al momento del secondo rialzo, che offrirà agli investitori maggior chiarezza sulla velocità con la quale la Fed intende muoversi».

Insomma, siamo in un territorio inesplorato e sono tante ancora le nebbie da dissipare, come è giusto che sia; i gestori sono divisi su quale delle tre strade possibili prenderanno le Borse nel 2016.

twitter.com/vitolops

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