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Ipocrisia europea e debolezze italiane

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Ipocrisia europea e debolezze italiane

Salvare l'euro, come le banche o gli Stati, è stata solo una questione di soldi. Ma non tutti i problemi sono questione di soldi: come l'Europa e l'Italia stanno imparando a proprie spese, spostare sul mercato e sui risparmiatori il costo dei salvataggi bancari (scaricato finora sui contribuenti) è un 'operazione senza margine di errore, un passo che mette in gioco la sicurezza del risparmio e la fiducia sulle istituzioni . Grazie alla Bce, la paura degli speculatori è passata, ma ne sta spuntando una peggiore: la paura del risparmio tradito. Il timore di crisi bancarie impreviste, i dubbi sulla capacità delle authority di anticiparle, il rischio di perdere i risparmi «per colpa dell'Europa » sono minacce reali per la stabilità europea come fu il balzo dei tassi nel 2011. Sulle banche, è la Ue che rischia di far saltare il banco.

L'europeismo non è un bond, non rende a breve e non si vende in banca. Ma è proprio sul rapporto tra risparmiatori, Europa e banche che la coesione europea e la credibilità delle sue istituzioni sono entrate in zona rischio. Sui risparmi, la tolleranza degli italiani è zero. Il Paese ha accettato riforme e sacrifici per uscire dall'emergenza finanziaria, ma è difficile per chiunque accettare che la sicurezza del risparmio sia messa a rischio da errori di valutazione o per altri obiettivi. Il sospetto che il Governo italiano abbia cinicamente scelto di effettuare i salvataggi delle banche a spese di alcuni investitori solo per compiacere la Commissione e ottenere un trattamento di favore nell'esame della legge di Stabilità, è un'ipotesi inaccettabile che va smentita con chiarezza. Nessuno nega il valore e l'importanza del bail-in europeo il cui obiettivo è quello di spostare dal contribuente al mercato il rischio di perdite nei salvataggi bancari. Ma un passaggio di tale rilevanza e di così forte impatto sulle certezze e le garanzie finora accordate ai risparmiatori richiedeva certamente un'attenzione più alta e maggiore cautela da parte di tutte le istituzioni coinvolte, banche comprese. Detto questo, è chiaro che chi ha venduto bond subordinati a risparmiatori inconsapevoli dei rischi ha commesso un grave abuso e un reato che va corretto. Ma anche chi ha investito senza verificare le condizioni ha le sue responsabilità. Ma questo è un problema diverso, legato più al nostro deficit di cultura finanziaria che alla governance europea. Il rapporto tra cittadini e banche, la sicurezza e la tutela del risparmio sono insomma una priorità per il Paese e per l'Europa. Il rischio che la situazione sfugga di mano è alto. Come è alto il rischio che l'inerzia istituzionale generi tra i cittadini la percezione di una totale indifferenza sulle criticità italiane, sulle paure generate dal passaggio epocale a cui vanno incontro per effetto delle nuove regole.

È legittimo e comprensibile recriminare ora sugli eccessi normativi, sulle discriminazioni europee nei rapporti tra Stato e imprese o sulla tolleranza accordata ad alcuni Paesi nelle procedure e nei costi dei salvataggi bancari. Ma per placare i timori e stabilizzare la fiducia servono risposte urgenti. I risparmiatori italiani stanno pagando infatti già due volte il prezzo degli errori commessi da chi dovrebbe garantire la loro sicurezza economica e finanziaria. Non è più tollerabile sapere che la Commissione europea tutela i risparmiatori tedeschi più di quelli italiani. Ciò che all'Italia è stato vietato, deve essere proibito anche agli altri. O altrimenti, avvenga il contrario.

I ritardi nella costituzione di una bad bank per le sofferenze bancarie, la scelta di non ricapitalizzare le banche durante la crisi utilizzando risorse pubbliche come ha fatto invece il resto d'Europa, le sviste e le lacune normative nella vigilanza sugli emittenti e sulla vendita di prodotti finanziari complessi a risparmiatori inesperti sono problemi seri.

Oggi gli italiani vogliono essere informati di più, e soprattutto vogliono capire chi è davvero responsabile delle scelte e delle procedure adottate nei salvataggi delle banche. La domanda a cui sarà bene dare presto risposta è una in particolare: per quale motivo il Governo e l'authority hanno attribuito all'Europa la responsabilità delle perdite di cui si sono fatti carico gli obbligazionisti invece di tentare strade alternative? E ancora: per quale motivo il Governo ha bloccato il tentativo delle banche italiane di salvare con i propri soldi i 4 istituti in crisi e i loro investitori invece di sostenerle nel dialogo con Bruxelles? Bisogna tenere presente che proprio la soluzione ideata dalle banche ha permesso un anno fa il salvataggio di Banca Tercas attraverso il fondo interbancario di garanzia: la Commissione ci sanzionò con una inspiegabile procedura di infrazione per aiuti di stato, ma ora il caso sembra chiuso grazie ad alcuni accorgimenti formali. Non a caso, la soluzione offerta dale banche è stata ora implicitamente approvata anche dalla Commissione, così come si evince dal carteggio con il ministero del Tesoro. Se la crisi dell'Etruria fosse stata affrontata nello stesso modo, prima e con più urgenza, nessun investitore avrebbe perso i risparmi. Ma da parte sua, anche la Commissione avrebbe dovuto chiarire un anno fa quale procedura alternativa al bail in è consentita e quale no. Con lo scudo salva-stati, i tassi a zero, i prestiti a lungo termine per le banche e il Quantitative easing, l'Europa ha temperato i danni della tempesta finanziaria, fermato l'attacco speculativo sui titoli di Stato, placato i timori sul debito italiano e salvato Spagna, Irlanda, Grecia, Cipro e Portogallo.

Quando il problema è contabile, risolvere una crisi è solo questione di risorse disponibili, impegni di rientro e sostenibilità delle condizioni finanziarie. Dare certezza del diritto e soprattutto di rappresentanza a ogni cittadino e risparmiatore europeo è un problema che solo la politica può risolvere.

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