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Sbarcherà a Trieste il primo greggio esportato dagli Usa

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Sbarcherà a Trieste il primo greggio esportato dagli Usa

Sbarcherà a Trieste il primo greggio esportato dagli Stati Uniti. La petroliera Theo T, partita dal Texas il giorno di San Silvestro, dovrebbe attraccare nel porto giuliano nel pomeriggio del 20 gennaio, appena un mese dopo che il Congresso americano ha cancellato il bando all’export che resisteva dal 1975. Ma il suo carico - shale oil estratto da ConocoPhillipsnell’area di Eagle Ford - non si fermerà nel nostro Paese. La destinazione finale è in Germania, riferisce il Wall Street Journal: per la precisione la raffineria bavarese Bayernoil, di proprietà di Vitol e Carlyle Group, che sarà raggiunta attraverso l’oleodotto Tal, che parte proprio da Trieste.

Conoco e NuStar, la società che possiede le infrastrutture di trasporto - il North Beach Terminal di Corpus Christi (Texas) eil South Texas Crude Oil Pipeline System - hanno quindi battuto sul filo di lana la Enterprise Products Partners, che in dicembre aveva annunciato che sarebbe stata la prima ad approfittare della completa liberalizzazione dell’export con la vendita all’estero di 600mila barili di greggio (si veda il Sole 24 Ore del 24 dicembre). Anche la fornitura di Enterprise è comunque in viaggio verso l’Europa: arriverà nel porto francese di Marsiglia - che insieme a Trieste è tra i maggiori scali petroliferi eurpei - per poi proseguire verso la Svizzera. L’acquirente dovrebbe quindi essere di nuovo Vitol, che possiede l’unico impianto elvetico ancora in attività, quello di Cressier.

Che sia proprio il Vecchio continente ad accogliere per primo il greggio americano - in tutto circa 1 milione di barili, in arrivo in questi giorni - dipende probabilmente proprio dall’identità dell’acquirente: Vitol è il maggiore trader petrolifero indipendente nel mondo e ogni giorno movimenta oltre 5 milioni di barili tra greggio e prodotti raffinati. Un gigante insomma, con il quale è facile concludere in tempi brevi una compravendita, anche di carattere “sperimentale” come sembrano essere quelle appena realizzate.

L’Europa non è vicina agli Stati Uniti e i costi di trasporto sono ingiustificati, specie in un periodo come quello attuale, in cui sui mercati c’è una quantità eccessiva di greggio, anche di qualità paragonabili a quella dello shale oil: un greggio leggero e pregiato, molto apprezzato per la produzione di benzina, ma simile ad altre qualità estratte nel Mare del Nord o in Nigeria.Vitol potrebbe insomma aver strappato un prezzo di favore per le forniture.

In futuro è più probabile che i barili «made in Usa» finiscano nella vicina America Latina (dove si producono soprattutto greggi pesanti) oppure che vadano a soddisfare le crescenti necessità dei Paesi asiatici. La rotta verso l’Asia dovrebbe tra l’altro essere favorita verso la fine del decennio, quando sarà completata l’espansione del Canale di Panama.

Quel che è certo è che i due carichi in viaggio verso l’Europa sono solo una piccola avanguardia di quello che un giorno potranno essere le esportazioni americane. Grazie alle attenuazioni del bando all’export introdotte in passato, gli Usa sono già arrivati a esportare quasi 600mila barili al giorno di greggio e condensati: più di molti produttori Opec, come l’Ecuador o la Libia. Le infrastrutture già costruite consentirebbero fin d’ora di inviare all’estero fino a 1,5 mbg. Le condizioni del mercato - con un surplus di offerta che ha fatto crollare il prezzo del barile a 30 dollari - per ora non consentono di raggiungere traguardi ambiziosi. Ma Ryan Lance, ceo di ConocoPhillips, è convinto che entro il 2020 l’export dagli Usa salirà a 2 mbg.

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