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Petrolio, ecco i semi del prossimo rally: rinviati progetti per …

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il crollo del barile

Petrolio, ecco i semi del prossimo rally: rinviati progetti per 380 miliardi

Il crollo vertiginoso del petrolio - sceso per la prima volta da 12 anni sotto 30 dollari al barile - non ha ancora scalfito la produzione, che continua ostinatamente a crescere e a mantenere sotto pressione i prezzi. Ma 2,9 milioni di barili al giorno di nuova offerta, equivalenti all’intero contributo del Venezuela o del Kuwait, sono già spariti dall’orizzonte. È questo l’impatto, pesantissimo e gravido di conseguenze, dei tagli agli investimenti operati dalle compagnie petrolifere.

La stima è di Wood Mackenzie, che sta tenendo il conto dei progetti estrattivi rinviati a causa delle difficili condizioni del mercato. Nel primo anno di caduta del prezzo del barile erano 46. Da giugno a oggi la lista si è allungata a 68 progetti, che avrebbero dovuto sviluppare riserve per 27 miliardi di barili equivalenti petrolio, mentre l’importo dei tagli è quasi raddoppiato: da 200 a ben 380 miliardi di dollari, di cui 170 miliardi che avrebbero dovuto essere investiti a breve, nei prossimi cinque anni. Non succederà. E il risultato, in termini di produzione, sarà drammatico: 1,5 mbg in meno di qui al 2021, che saliranno a 2,9 mbg entro il 2025. Barili quasi certamente necessari, per soddisfare la crescita della domanda e il declino dei vecchi giacimenti, e la cui mancanza potrebbe riaccendere i prezzi del petrolio.

La scure non è caduta solo su progetti faraonici, anche se oltre metà erano operazioni offshore in acque profonde - un settore in cui i costi sono scesi troppo poco: solo il 10%, osserva WoodMac - e anche se tra le vittime dell’austerità si contano ovviamente anche diversi mega-progetti, come la fase 2 del tormentatissimo Kashagan, il giacimento kazakho nel quale è coinvolta anche l’Eni. In media gli investimenti rinviati potevano arrivare a “breakeven” con il petrolio a 62 dollari al barile. Ma adesso un simile livello di prezzo sembra un miraggio: le quotazioni, dopo essersi ridotte di due terzi nel giro di appena 18 mesi, viaggiano oggi intorno a 30 dollari e un numero crescente di analisti prevede che scenderanno ancora, a 20 se non addirittura a 10 dollari.

Anche il mercato dei future offre indicazioni tutt’altro che incoraggianti: non sono basse soltanto le quotazioni a pronti, ma anche quelle per scadenze lontane nel tempo, che le compagnie petrolifere osservano con attenzione quando approntano i piani di investimento. Tutta la curva del Brent, fino al 2020, oggi mostra prezzi inferiori a 50 dollari al barile.

Con tutta probabilità i tagli non sono finiti. «Sarà un anno brutale, in cui le compagnie si concentreranno sulla sopravvivenza a breve termine», afferma Angus Roger, di Wood Mackenzie, stimando che nel 2016 - come già l’anno scorso - al traguardo della decisione finale di investimento (Fid) arriveranno non più di una mezza dozzina di grandi progetti.

Non è l’unica società di consulenza ad esprimere pessimismo. AlixPartners, in un rapporto appena diffuso, stima che nel 2016 le 134 società di produzione quotate in Nord America avranno flussi di cassa negativi (al netto di interessi e investimenti) per 102 miliardi di dollari: in pratica, perderanno circa 2 miliardi a settimana. Il rendimento del capitale impiegato (Roce) - che ai tempi d’oro, nel 2005-2006 era arrivato a superare il 20% - è già sceso al 3% e l’Ebit (l’utile prima del pagamento di interessi e tasse) subirà nel corso dell’anno una nuova riduzione del 20-30% in media.

La sua ricetta «per sopravvivere nei prossimi 12 mesi e quindi prosperare in futuro»: stracciare il vecchio budget e riscriverlo a base zero, con un ulteriore taglio degli investimenti del 30-50%, oltre a una stretta del 20-30% ai costi di approvvigionamento e a una riduzione «aggressiva e mirata» della manodopera.

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