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I rischi di un mondo senza leadership

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I rischi di un mondo senza leadership

  • –Vittorio Da Rold

«Nel 2016 è possibile che torni il rischio Grexit la cui possibilità di realizzazione è al 30% a causa delle difficoltà tra i creditori, Fmi e partner europei e governo ellenico. Ma questa volta, (di fronte al quarto piano di aiuti, ndr), gli europei saranno meno capaci di fronteggiare una nuova crisi del debito sovrano». Così a sorpresa, Ian Bremmer, numero uno e politologo di Eurasia group, presentato da Paolo Basilico, presidente e Ceo di Kairos, in occasione della sua visita a Milano per l’incontro con i clienti della società di gestione italiana.

Quanto al Brexit, che seppure non lo ha escluso del tutto, il politologo americano ha puntato a rassicurare che su questo punto l’Europa non dovrebbe avere molti problemi. La questione delle permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea non dovrebbe realizzarsi davvero.

Ma quali sono i rischi geopolitici per il 2016 su cui puntare i riflettori? «Il mercato ha reagito in modo esagerato al declino della crescita cinese perché il mercato cinese è un mercato politico e il governo lo dimostrerà ancora», ha spiegato ai giornalisti in conferenza stampa ieri a Milano, Bremmer, fondatore di Eurasia Group, think tank di politica internazionale. «Tutte le preoccupazioni sui mercati cinesi - sostiene però Bremmer - sono reali ma non per quest'anno, sono di più lungo termine». Anche perché «il Governo cinese ha così tanti strumenti per assicurare la crescita sufficienti a mantenere la stabilità, forse non sarà il 6,9% e magari il numero vero del Pil è più basso. Ma, comunque, una crescita sostenibile e lo sarà per un certo periodo
di tempo».

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Ill punto di fondo dell’analisi che Bremmer chiama “G-zero” (cioè assenza di una capacità di guida reale di fronte alle sfide di un mondo in tempesta) è che il rischio geopolitico diventa strutturale e in assenza di leadership forti (con l’eccezione della Cina, Russia di Vladimir Putin e l’Indonesia), in Europa e negli Usa gli investitori di fronte alla frammentazione devono guardare e soppesare «più la capacità dei paesi di resilienza (flessibilità di fronte agli shock, ndr) piuttosto che alla dinamica della crescita economica. Vedremo frammentazione se non un'assenza di risposte. A rimetterci è l’Europa, oltre al Medio Oriente, mentre Usa, Cina e Giappone ne saranno preservati. Gli Usa continueranno, invece, ad essere un porto sicuro», ha sottolineato. La geo-politica, che secondo Bremmer in passato forniva piuttosto occasioni di acquisto, adesso invece peserà sui mercati.

In questo quadro turbolento Bremmer non è particolarmente preoccupato della «maggiore migrazione di massa del dopo guerra» che ha colpito l’Europa e il Trattato di Schengen sulla libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione perché è una minaccia che non colpisce «né Usa, né Cina né Giappone, cioè la prima, la seconda e la terza economia del mondo». La irrilevanza europea né riduce quindi l’impatto a livello globale di un fenomeno molto ampio ma circoscritto. L’Asia, invece, è in piena forma e dinamismo e a preoccupare gli alleati americani è la tendenza di Washington all’isolazionismo. «A Davos ho raccolto l’esigenza di canadesi, messicani, europei e esponenti mediorientali di avere una maggiore presenza militare e diplomatica degli Usa nei rispettivi scacchieri», ha spiegato Bremmer di ritorno dal vertice Wef tra le nevi svizzere. Il problema è che manca una leadership che risponda a questo rischio», ha spiegato Bremmer, che parla della fine del G7 e del G20 e di «un mondo che ormai è G-zero». «Non c’è nessun Paese che voglia assumere un ruolo-guida», gli Usa non sono più disponibili a far il poliziotto del mondo e «si muovono più sul piano unilaterale che su quello multilaterale», ha indicato il presidente di Eurasia Group.

«Gli americani sono più preoccupati dei migranti che passano attraverso il confine messicano, del terrorismo dei fondamentali islamici che delle situazione europea», ha ribadito Bremmer. «Quando cadde il Muro di Berlino gli Usa erano più impegnati in Europa ma ora di fronte alla crisi europea dei migranti, del terrorismo islamista e dell’Isis, la potenza americana semplicemente non c’è e in questo vuoto la Russia di Vladimir Putin si è inserita prepotentemente in Siria».

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