I mercati sono imprevedibili. Basta osservare il grafico di un qualsiasi titolo azionario. Il prezzo di Borsa dovrebbe riflettere le prospettive di utili a medio termine (rapporto prezzo/utili) della società. Certo, queste prospettive possono cambiare nel corso del tempo ma a giudicare dai grafici di Borsa sembra che quell’azienda, che tutte le aziende navighino in un mare in tempesta. Un giorno le cose vanno troppo bene, un altro vanno malissimo. Eppure l’azienda è sempre la stessa, da un giorno all’altro cosa mai può essere cambiato?
È il prezzo dell’alta volatilità, che tanto piace ai day-traders che fanno scalping, ovvero a coloro che ogni giorno comprano e vendono più volte in Borsa provando a cavalcare le numerose onde che l’umore schizofrenico degli investitori crea. I day-traders puntano tutto sul capital gain (ovvero sul guadagnare sulla differenza tra prezzo di vendita e prezzo di acquisto, al netto delle commissioni) mentre gli investitori di lungo corso si preoccupano un po’ meno della volatilità e puntano a guadagnare sul cash flow, ovvero sui dividendi annui che l’azienda su cui hanno investito distribuisce.
Resta il fatto che i mercati sono un posto davvero complicato, anche perché oggi oltre il 60% degli scambi è governato da algoritmi finanziari che, se si verifica la condizione per cui sono programmati, vanno a rotta di collo. Questo spiega perché oggi le Borse hanno fluttuazioni quotidiane di più ampia portata rispetto al passato.
E poi, a dirla tutto, i mercati non sempre ci prendono. È famosa la battuta di Paul Samuelson, vincitore del Premio Nobel per l'economia, secondo cui «Gli indici di Wall Street hanno previsto 9 delle ultime 5 recessioni».
I trend dei mercati possono essere tre: rialzista (chiamato anche Toro), ribassista (chiamato anche Orso) o laterale (ovvero né al rialzo né al ribasso, né carne né pesce). I piccoli risparmiatori normalmente perdono soldi nel trend laterale e ribassista, mentre riescono a guadagnare qualcosa (ma spesso meno di quanto fa il mercato) nel primo trend. Questo fa capire quanto sia difficile operare su questi mercati. Anche il mantra del lungo periodo viene messo potentemente in discussione da alcuni dati: prendiamo ad esempio Piazza Affari. Nel 2000 l’indice Ftse Mib valeva più di 40mila punti. E oggi? Siamo a 18mila, meno della metà dopo oltre 15 anni.
Un buon investitore deve per prima cosa chiedersi quale orizzonte temporale ha per quell’investimento (se ha bisogno di liquidità a breve o invece può aspettare prima di vendere) e poi cercare di capire il trend dei mercati. È rialzista, ribassista o né carne né pesce?
Prendiamo ad esempio il momento attuale. In che trend siamo? Da inizio anno le Borse hanno perso circa 10 punti percentuali (Piazza Affari il 13%). La correzione è in realtà partita a dicembre quando Draghi non ha potenziato il quantitative easing (ovvero gli acquisti di titoli da parte della Bce su mercati aperti per immettere nuova moneta, svalutare l’euro e provare a rilanciare così l’economia): da allora Piazza Affari ha perso il 15% (da 22mila a 18.800mila) con punte oltre il 20% (quando era scivolata sotto i 18mila).
I numeri sono importanti perché molti analisti e day-trader basano le loro strategie sull’analisi tecnica, non basata sui fondamentali delle aziende quotate ma su altri fattori (volumi, volatilità, andamento grafico del titolo, ecc.). Sono infatti molti gli analisti che indicano che in questo momento indici come il Dax 30 di Francoforte, il Nikkei 225 di Tokyo e l’indice di Shanghai hanno perso la soglia che mantiene il trend di lungo periodo al rialzo. Avendola persa starebbero quindi entrando in un “bear market”, ovvero in un mercato Orso. Ci sono invece poi gli investitori che guardano ai fondamentali e che sostengono che a questi livelli la Borsa tedesca prezza gli utili attesi delle aziende appena 11 volte contro le 15 di Wall Street. Quindi sarebbe da comprare in questa fase in un’ottica strategica di medio lungo periodo. Ma come? Se ha perso la soglia che delimita il trend di lungo periodo dal rialzo al ribasso, per quale motivo sarebbe da comprare per chi punta sul lungo periodo?
È difficile rispondere a questa domanda che pone in una sorta di scontro chi punta sull’analisi tecnica e chi invece orienta la propria strategia sui fondamentali. Il primo probabilmente ora starà vendendo, il secondo starà comprando. Anche gli esperti la pensano in modo diverso, come è normale.
«Si discute ormai da tempo della salute del mercato azionario. A causa dei frequent trader e dei modelli di negoziazione algoritmici non è possibile stabilire con certezza se i prezzi riflettono il vero valore dei titoli. Per effetto della regolamentazione successiva alla crisi finanziaria, che ha accelerato il ritiro dei market maker dalle piazze azionarie e obbligazionarie, i volumi sono sempre più unidirezionali, poiché sono gli algoritmi a decidere, in un batter d'occhio, se il momentum è positivo o negativo - spiega Neil Dwane di Allianz global investors -. Forse molti investitori vedrebbero un sostanziale arretramento dei mercati azionari come un'ottima opportunità per comprare a prezzi più convenienti, con la prospettiva di una rivalutazione del capitale e un dividend yield allettante, ma la maggior parte preferirà evitare di assumersi altri rischi in un contesto ancora molto volatile e segnato da una marcata divergenza a livello politico. Visto che tanti fondi sovrani sono in difficoltà e gli assicuratori sono alle prese con Solvency II, il compratore di ultima istanza potrebbe aspettare che i corsi azionari scendano ancora.
Una maggiore avversione al rischio potrebbe ripercuotersi sui mercati obbligazionari corporate ed emergenti, già caratterizzati da un contesto di illiquidità, in quanto gli investitori potrebbero essere maggiormente orientati verso il “fly to quality” e quindi verso le società con bilanci più solidi e a maggiore capitalizzazione. Le valutazioni azionarie dovranno forse adeguarsi agli utili più bassi, alla volatilità dei cambi e al superamento del vecchio modello economico cinese, ma nel mondo si trovano ancora opportunità di crescita legate a nuovi mercati e a tecnologie “disruptive”, con la prospettiva di flussi di dividendi interessanti e sostenibili».
Secondo Joseph V. Amato, president & chief Investment officer equities di Neuberger Berman «sospettiamo che i mercati stiano aggiungendo un'altra aspettativa di recessione degli Usa con la marcata correzione con cui hanno salutato il nuovo anno. Ma dal nostro punto di vista, il quadro generale è molto più positivo: la gran parte degli indicatori economici americani indica un proseguimento della graduale espansione vista di recente. E sebbene una correzione nei mercati finanziari possa avere una ricaduta sull'economia reale danneggiando la fiducia dei consumatori e delle imprese, rischio che si corre certamente se questa rotta viene mantenuta, siamo inclini a pensare che il legame tra quello che fa il mercato e l'umore dei consumatori sia molto più debole di quanto a volte si supponga. È stato interessante osservare Mario Draghi, Presidente della Bce, esprimere una visione molto simile durante la conferenza stampa del 21 gennaio seguita alla decisione di politica monetaria. Draghi era impaziente di sottolineare che prevede che la ripresa economica continui e ha fatto notare che i prezzi del petrolio più bassi sono, di fatto, uno stimolo in Europa. Inoltre si è soffermato sull'impatto del programma di stimolo della Bce, in particolare sulla crescita della liquidità e sulle dinamiche dei prestiti. Ha riconosciuto che il rallentamento in atto nel mondo emergente e la volatilità dei mercati finanziari potrebbero richiedere alla Bce di riconsiderare la sua decisione di politica monetaria ad inizio marzo ma questo suonava come il classico approccio di Draghi per affermare che la Bce è pronta ad agire per comprare abbastanza tempo da, in sostanza, non dover agire affatto. Come previsto gli asset rischiosi hanno gradito le sue parole e l'euro si è indebolito. Siamo convinti sarà probabilmente una questione di tempo prima che i mercati tornino a focalizzarsi sui fondamentali economici. Per questa ragione riteniamo che la volatilità e la debolezza in atto rappresentino un momento opportuno per considerare un incremento nel peso degli asset rischiosi».
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