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E se il petrolio avesse toccato il fondo? Per gli speculatori il rilancio…

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E se il petrolio avesse toccato il fondo? Per gli speculatori il rilancio non è più un miraggio

Il pessimo esordio del petrolio nel 2016, con un’accelerazione del crollo, che ha portato le quotazioni sotto 30 dollari al barile, ha sgretolato in molti analisti la speranza di una pronta ripresa del mercato. Ma proprio mentre le banche si affannano nel tagliare le previsioni sui prezzi, il mercato sembra aver cominciato a credere nella possibilità di un rilancio.

Negli ultimi giorni tutte le volte che il barile si è riavvicinato a 30 dollari sono intervenuti acquisti, talvolta molto intensi, che l’hanno risollevato: come se quella soglia fosse stata identificata come un possibile “fondo”. Gli speculatori, ancora molto esposti al ribasso, stanno approfittando di ogni scivolone dei prezzi per chiudere, riacquistandole, una parte delle posizioni corte. Anche così si spiegano i volumi di scambio elevatissimi e l’estrema volatilità dei mercati petroliferi.

Tra i grandi movimenti di denaro di questa settimana, riferisce Reuters, c’è stato quello generato dall’improvvisa liquidazione di una quota da 600 milioni di dollari di un Etn (Exchange Traded Note) altamente speculativo: il VelocityShares 3x Inverse Crude Oil, emesso da Credit Suisse, che consente di scommettere a leva tripla sui ribassi del greggio.

Più in generale, gli investitori di ogni genere sono probabilmente impegnati in un importante riorganizzazione del portafoglio, per seguire l’evoluzione delle politiche monetarie: la Federal Reserve, che a questo punto dovrebbe interrompere il rialzo dei tassi, e le altre banche centrali, il cui orientamento sta diventando sempre più espansivo.

Al momento tutto ciò che succede nel mondo del petrolio è sullo sfondo. Tuttavia non è scomparso. E anche sul fronte dei fondamentali qualche spunto rialzista comincia a manifestarsi, influenzando - a volta anche solo brevemente - l’andamento del mercato. Ieri è stata una giornata esemplare da questo punto di vista: le quotazioni hanno oscillato più volte, indecise sulla direzione da prendere, e dopo una fase di rialzi fino al 4% il petrolio ha finito col chiudere in territorio negativo, con il Wti per consegna marzo a 31,72. $ e il Brent per aprile a 34,46 $, entrambi in ribasso dell’1,7 per cento.

L’Arabia Saudita, attraverso i listini per marzo della Saudi Aramco, ha di nuovo tagliato il prezzo di vendita del suo greggio, sia per l’Asia che per l’Europa: una mossa che dimostra come Riad non abbia smesso di privilegiare la difesa delle quote di mercato, a maggior ragione ora che l’Iran - libero da sanzioni - sta accelerando le esportazioni.

D’altra parte, le trattative per giungere ad un taglio di produzione congiunto tra Paesi Opec e non Opec stanno proseguendo alacremente. E il Venezuela, che si è fatto promotore dell’iniziativa, sta guadagnando consensi, quanto meno per la convocazione di un vertice straordinario. Caracas elenca sette Paesi favorevoli: Russia e Oman, esterni all’Opec, più Iraq, Algeria, Nigeria, Ecuador e persino Iran all’interno dell’Organizzazione. Tecnicamente sarebbero sufficienti per imporre un incontro anticipato rispetto al vertice di giugno: l’articolo 12 dello Statuto Opec prevede infatti che il segretario generale possa convocarlo «su richiesta di un Paese membro», dopo essersi consultato con il presidente di turno (oggi il ministro del Qatar) e con l’approvazione della «maggioranza semplice» degli altri membri (che in tutto sono tredici, ndr).

È tuttavia chiaro che c’è una bella differenza tra essere disposti a riunirsi e voler davvero partecipare a un taglio di produzione. Inoltre, senza il consenso dell’Arabia Saudita - l’unica davvero in grado di modulare a piacere le estrazioni di petrolio - sarebbe impossibile ottenere alcunché.

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