Finanza & Mercati

I titoli tossici sono le vere «sofferenze» delle europee

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L'ANALISI

I titoli tossici sono le vere «sofferenze» delle europee

Non c'è pressochè nessuna banca europea (escluse solo le scandinave) che riesca a farsi apprezzare dalla Borsa più del suo capitale netto. Prezzi da saldo che riflettono la disaffezione del mercato per un settore che non si è ripreso per davvero a livello di redditività dalla Grande Crisi. Se per l'Italia il Tallone d'Achille della profittabilità sono le sofferenze (via via da svalutare) cumulate dalla lunga recessione che ha prostrato il Paese, non si capisce perchè sistemi bancari come quelli del Nord Europa, meno legati all'economia reale con minori volumi di credito sugli attivi e in Paesi meno sofferenti del nostro in termini di crescita, debbano essere puniti dal mercato. Nessun errore di valutazione in realtà. Le banche inglesi, tedesche e in genere la grandi investment bank hanno a loro volta le proprie “sofferenze”. Non sono i prestiti deteriorati a imprese e famiglie che si trasformano in perdite, come per le italiane. Le “sofferenze” degli altri portano il nome della finanza truccata, della turbo-finanza speculativa che occupa gran parte delle loro attività. Le maxi-perdite che spesso fanno capolino su giganti bancari di matrice anglosassone sono, volta per volta, gli effetti delle svalutazioni di titoli, derivati, asset tossici, il cuore della loro attività bancaria. E se non sono i prodotti finanziari a registrare minusvalenze, sono le innumerevoli cause legali e i contenziosi con la clientela a determinare miliardi di accantonamenti in un colpo solo, come dimostra l'ultimo bilancio del 2015 di Deutsche Bank.

Nessuno nega la difficoltà delle banche italiane sul fronte delle continue svalutazioni di prestiti malati. Per un sistema economico così bancocentrico come il nostro era quasi inevitabile che i lunghi anni di recessione con il Pil caduto del 10% , i fatturati contratti del 25% e l'impennata dei fallimenti, si riflettessero quasi in automatico sulle banche con i mancati rientri di oltre un sesto dei prestiti concessi. Ma se per un attimo trattassimo come sofferenze, trasmutandole, le decine di miliardi di titoli illiquidi che molte delle grandi banche europee hanno tuttora in pancia scopriremmo che nessuno è immune dalle difficoltà.

Se per l'Italia ci si chiede quanto valgono le sofferenze nei portafogli, occorrerebbe chiedersi quanto valgono i titoli tossici nei portafogli delle banche tedesche, inglesi , svizzere e francesi. Tanto per dare un'idea Deutsche Bank aveva a fine 2014 ben 31 miliardi di titoli non valutabili dal mercato. Possono valere 100, 50, 30 nessuno lo sa. Sono però la metà dell'intero capitale della banca. Per Barclays (61 miliardi di sterline) i titoli illiquidi sono addirittura l'80% del patrimonio. Per Bnp Paribas nel 2014 “valevano” il 39% dell' intero capitale della banca. Per Commerbank i titoli senza prezzo sono iscritti a bilancio per un valore che equivale al 24% del patrimonio. Per il Credit Suisse quegli oltre 20 miliardi di attività illiquide erano nel 2014 il 79% del capitale. È questo è il Tallone d'Achille delle grandi banche europee. Senza contare quanto rischio e quante perdite possono derivare dal trading finanziario che vale una buona metà delle attività complessive. Domanda non peregrina con i mercati che hanno imboccato una spirale ribassista.

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