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Borse, quel brutto segnale che arriva guardando adesso il dollaro e lo yen

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scenari sui mercati

Borse, quel brutto segnale che arriva guardando adesso il dollaro e lo yen

I volumi visti ieri sui mercati finanziari (quando Piazza Affari è salita del 5%) non erano alti. E questo non dava particolarmente forza al rimbalzo messo a segno 24 ore fa dalle Borse, che si è rivelato un classico “rimbalzo del gatto morto”. Oggi, a riprova di quel segnale di incertezza, sono ritornate, violente, forzate e algoritmiche, le vendite.

Per via dell’effetto palla di neve vengono venduti tutti i titoli, anche quelli che osservando i fondamentali, risultano tecnicamente a sconto. Questo anche perché quando un fondo è costretto a svuotare una posizione lo fa vendendo i titoli che aveva in portafoglio, e solitamente i fondi cercano di avere in portafoglio i titoli con i fondamentali più robusti.

Ormai le vendite sono slegate dalle due logiche a cui ci hanno abituato i mercati. Ci sono dei trend rialzisti che cavalcano le aspettative di una ripresa economica (quando si pensa che gli utili miglioreranno e quindi si acquista in Borsa per “aggiornare” il rapporto prezzo/utili). E ci sono dei trend rialzisti in cui, al di là dei multipli, si cerca il rendimento attraverso il mercato azionario perché altrove (quello obbligazionario) offre delle briciole in virtù delle forti manovre espansive delle banche centrali che acquistano obbligazioni sui mercati aperti comprimendone i rendimenti e facendo salire indirettamente l’appetito al rischio. Ed è quello che è accaduto negli ultimi anni con Wall Street infatti che dal lancio del Qe nel 2009 da parte della Fed ha praticamente raddoppiato la capitalizzazione.

In questo momento il doping delle banche centrali non è sufficiente a smorzare l’ondata di vendite. Lo si è capito anche ieri dopo la timida reazione di Wall Street alla clamorosa apertura del governatore della Fed, Janet Yellen, a un nuovo taglio dei tassi negli Usa «se necessario». Sarebbe un dietrofront incredibile, dato che la Fed con tanta fatica ha provato a far digerire ai mercati nell’ultimo anno l’avvio di una fase di normalizzazione della politica monetaria, rialzando i tassi a dicembre e programmandone quattro nel 2016.

Che i mercati considerino con meno enfasi le dichiarazioni dei banchieri centrali - e questo di per sé non è un altro bel segnale - lo si capisce anche da quello che sta accadendo alle banche europee. Vendute a mani basse nonostante il governatore della Bce, Mario Draghi, pochi giorni fa ha dichiarato che «le banche europee non hanno bisogno di essere ricapitalizzate».

Il quadro, insomma, è questo. E da poche ore si è aggiunto un altro elemento, un ulteriore segnale negativo che gioca a favore delle Cassandre. Un segnale suggerito dall’analisi intermarket, quella che studia le correlazioni dei mercati finanziari per tracciare degli scenari.

L'epicentro dei movimenti solitamente è rappresentato dal forex, il mercato delle valute, e negli ultimi anni ha assunto un'importanza capitale il rapporto di cambio dollaro Usa/ yen giapponese. Un rialzo del cross è sinonimo di propensione al rischio mentre un apprezzamento dello yen significa una fuga dal rischio. Il termometro del cambio usd/jpy è molto seguito dagli investitori istituzionali e dai grandi money manager, per cui i segnali che fornisce sono di grande importanza.

I riflettori del mondo finanziario erano puntati sulla tenuta di quota 116, che rappresenta il supporto chiave per il mantenimento del trend rialzista del dollaro. Da due giorni questo livello è stato abbandonato e questo significa che il contesto intermarket è passato in fase ribassista (acquisti su oro, bond sicuri e vendita di azioni) .

Secondo l’analisi intermarket per annullare questo impulso è necessario che il cross riconquisti il prima possibile quota 116 (soglia oltre la quale viaggia stabilmente da novembre 2014), a quel punto sull'azionario potrebbe tornare un po' di sollievo. Il contesto chartistico non è favorevole. Il grafico del cross valutario evidenzia un chiarissimo testa e spalle ribassista, che è una figura di inversione molto potente in analisi tecnica. Sotto quota 116 il quadro diventa assolutamente risk off con un possibile target ribassista fino a quota 105-106. La ripercussione maggiore dovrebbe registrarsi sull'indice S&P 500, che fino a oggi tutto sommato ha tenuto. In particolare per l'indice americano, quello più importante al mondo, la rottura di area 1870 rischia di aprire la strada di un ampio ribasso. Meglio aspettare che S&P 500 torni sopra 1870 per avere un quadro più rassicurante.

twitter.com/vitolops

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