Si chiude oggi l’aumento di capitale da 3,5 miliardi di euro di Saipem. Ieri il titolo della società guidata da Stefano Cao è stato interessato da un boom di volumi, sono passati di mano 142,8 milioni di euro, circa il 32% del vecchio capitale, con l’azione che è calata dell’1,34%, a 0,362 euro. Tradotto: la società capitalizza attualmente poco meno di 160 milioni contro i 2,3 miliardi di euro di prima dell’aumento. A operazione avvenuta, l’asticella dovrebbe quindi superare i 3,6 miliardi tenendo conto che la nuova iniezione di risorse è “blindata” poiché le banche del consorzio - di cui fanno parte Goldman Sachs e Jp Morgan nel ruolo di global, Banca Imi, UniCredit, Mediobanca Deutsche Bank, Citigroup come joint book runner e Hsbc Bank, Bnp Paribas, Abn Amro Bank e Dnb Markets in qualità di co-lead manager - si sono impegnate a garantire l’eventuale inoptato, al netto di quanto sarà coperto, pro quota, da Eni e Fsi (che ha rilevato il 12,5% di Saipem).
La prolungata crisi del settore
Sia il titolo che i diritti hanno perso parecchio terreno dall’avvio dell’operazione. Che, come altre ricapitalizzazioni lanciate in questi mesi, sconta senz’altro, in primis, l’attuale “isteria” del mercati azionari, legata alla fase ribassista delle Borse e al crollo senza fine del prezzo del greggio. Non a caso, ieri, l’agenzia di rating Moody’s, nel porre sotto osservazione per un possibile downgrade il rating preliminare di Saipem “(P)Baa3” - dopo un’analoga iniziativa, qualche giorno fa di S&P - ha puntato l’indice contro l’ulteriore deterioramento dello scenario del calo del petrolio e anche contro il conseguente indebolimento dei fondamentali dell’industria oil&gas, cui si abbeverano aziende come Saipem. In sostanza, ha evidenziato l’agenzia, un contesto così difficile costringe le major oil a tirare la cinghia, riducendo gli investimenti con inevitabili riverberi negativi su chi beneficia di quelle commesse.
L’impatto del contesto sui piani di Saipem
Dietro ai numeri della ricapitalizzazione di Saipem ci sono dunque fattori esogeni. Ma pesa evidentemente, e non poco, anche il potenziale impatto del peggiorato contesto sulla capacità futura di Saipem di generare cassa in linea con quanto previsto dal piano strategico. La società ne è consapevole tanto è vero che, nel corposo prospetto informativo che accompagna l’operazione, non si esclude che se il prezzo del petrolio si mantenesse ai livelli attuali per altri 3-4 mesi, e, in parallelo, si registrasse anche «un calo marcato» del portafoglio ordini residuo, sarebbe necessario rimettere mano al piano strategico e immaginare ulteriori ipotesi e misure di reazione. Quali? La società non si sbilancia perché, si legge nello stesso documento, vista la fase di mercato dinamica e discontinua, «qualsiasi previsione sull’evoluzione commerciale, operativa, competitiva, economica, finanziaria e patrimoniale del gruppo, è soggetta ad ampi margini di incertezza». Ad ogni modo, le azioni possibili riguarderebbero, tra l’altro, ulteriori iniziative di razionalizzazione della struttura, la negoziazione con i clienti di soluzioni tecnico-operative di minor costo, ma anche un nuovo sforzo di efficienza sui costi generali del gruppo. Alzando ancora l’asticella rispetto ai target fissati nel piano di ristrutturazione “Fit for the future” presentato nei mesi scorsi dalla società.
La ricetta di Cao per raddrizzare la rotta
A ricapitalizzazione avvenuta, i riflettori del mercato saranno puntati proprio su quest’ultimo tassello, cioè sulla ricetta tratteggiata dall’ad Cao per consentire all’azienda di continuare a navigare nella tempesta se il calo del prezzo del petrolio, con l’inevitabile pressione sui progetti delle compagnie petrolifere, dovesse proseguire ancora a lungo. Perché, va ricordato, l’aumento di capitale è un anello del cambio di passo che l’azienda sta provando a innestare, ma non è l’unico dal momento che il rafforzamento della struttura patrimoniale - garantito dal binomio ricapitalizzazione e rifinanziamento straordinario del debito (con Saipem che, a operazione archiviata, si staccherà finanziariamente dall’Eni per camminare con le proprie gambe) - sarà affiancato da un modello di business più efficiente, imperniato su una decisa stretta sui costi (con 1,5 miliardi di euro di risparmi cumulati attesi da qui al 2017) e sulla focalizzazione sul core business (con precise dismissioni in programma nell’arco di piano), ma anche da una riduzione del profilo di rischio che passa per una revisione dei processi commerciali e una maggiore presenza nelle attività a maggiore valore aggiunto, e da una politica finanziaria bilanciata. Tradotto: rimodulazione degli investimenti, riduzione del debito e gestione del circolante.
Un passato di fragilità e la scommessa sul futuro
Basterà per rilanciare definitivamente Saipem? Difficile fare previsioni al momento. Quel che è certo, come ha ricordato ieri il cfo di Eni, Massimo Mondazzi, interpellato dal Sole 24 Ore, è che «i fondamentali dell'aumento di capitale sono solidi» e che «il mercato esterno non ha reso l'operazione semplicissima». «Il risultato finale lo vedremo a ricapitalizzazione avvenuta», ha affermato il manager ribadendo che Saipem «avrà una struttura patrimoniale rafforzata» e che, dopo l'aumento, «si troverà nelle migliori condizioni per approfittare di un’eventuale ripresa», potendo contare «su competenze innegabili che pochi altri competitor hanno». L’azienda ha tutti gli strumenti per consolidare il suo posizionamento strategico e per cancellare definitivamente i residui di un passato non facile contraddistinto dall’inchiesta giudiziaria per presunte vicende di corruzione in Algeria - che, come si ricorderà, nel dicembre 2012, ne travolse i vertici - dai profit warning che l’hanno ulteriormente indebolita, dalle strette e dalle svalutazioni che necessariamente sono seguite nel tentativo di correggere il tiro e, da ultimo, dalla cancellazione del mega-contratto per il South Stream, che ha contribuito a complicare ulteriormente il quadro. Ora Cao sta cercando di raddrizzare la rotta. I prossimi mesi diranno se la direzione è quella giusta.
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