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Petrolio, l’Iran «appoggia» l’intesa di Doha

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Petrolio, l’Iran «appoggia» l’intesa di Doha

Un capolavoro di diplomazia, che gli esseri umani hanno faticato a capire e che gli algoritmi degli hedge funds non hanno capito affatto: mentre l’Iran affondava - o quasi - l’accordo per congelare la produzione di petrolio, il prezzo del barile si è messo a correre, accelerando contro ogni logica apparente fino a chiudere in rialzo di oltre il 7% a 34,50 $ nel caso del Brent. Il merito è di Bijan Zanganeh, il ministro del Petrolio iraniano, che ha compiuto vere e proprie acrobazie linguistiche nel commentare l’esito delle quasi tre ore di incontro con i colleghi di Venezuela, Qatar e Iraq.

Obiettivo della riunione, in un’elegante villa con piscina nei sobborghi a nord di Teheran, era un estremo tentativo di convincere gli iraniani ad aderire agli accordi presi il giorno prima con l’Arabia Saudita e la Russia: primo esempio di collaborazione tra Paesi Opec e non dal 2001, quando l’Organizzazione degli esportatori di greggio concordò un taglio produttivo congiunto con russi, norvegesi e messicani.

Il ministro iracheno Abdel Mahdi, che aveva segnalato nei giorni scorsi di essere disponibile a interventi a difesa del prezzo del barile, ha tenuto la bocca sigillata. Ma fonti da Teheran segnalano che, a differenza dei ministri venezuelano e qatarino, non ha lasciato la capitale, dove oggi dovrebbe vedere nuovamente Zanganeh. Quest’ultimo invece si è intrattenuto a lungo con un gruppo di giornalisti locali, ma i suoi commenti sono stati eccezionalmente ambigui: il ministro ha evitato con cura persino di nominare il congelamento della produzione petrolifera, almeno a quanto risulta dalle dichiarazioni pubblicate in inglese dall’agenzia ufficiale Shana. E tuttavia non ha nemmeno chiuso del tutto la porta alle richieste che presumibilmente gli sono state fatte.

L’incontro di ieri «è un primo passo e devono seguirne altri», ha detto Zanganeh, riecheggiando le parole che il saudita Ali Al Naimi aveva pronunciato martedì. «Questo inizio di cooperazione tra Paesi Opec e non Opec per la ripresa del mercato è motivo di felicità. Noi supportiamo qualsiasi azione per la stabilità del mercato e il recupero dei prezzi».

Zanganeh ha riferito di aver discusso con gli altri ministri anche della specificità della situazione iraniana: Teheran è appena stata sollevata dalle sanzioni internazionali, per colpa delle quali ha visto le sue esportazioni di greggio crollare da circa 2,5 milioni di barili al giorno nel 2011 agli attuali 1,1 mbg. La produzione nello stesso arco di tempo si è ridotta da 3,6 a 2,8-2,9 mbg. «Logicamente hanno riconosciuto questa realtà - ha detto - Spero che con gli sforzi che sono cominciati si possa assistere a una ripresa del mercato nel prossimo futuro».

La frase è piuttosto criptica, ma potrebbe dare sostegno all’interpretazione di Olivier Jakob, analista di Petromatrix, secondo il quale il congelamento della produzione saudita sui livelli di gennaio (10,3 mbg) «può essere visto come un metodo ufficioso per fare posto al ritorno delle esportazioni iraniane». In pratica, ci sarebbe un taglio di 500mila bg delle esportazioni, differito alla prossima estate: nei periodi più torridi, quando i condizionatori devono funzionare a pieno ritmo, Riyadh aumenta infatti il consumo interno di greggio per alimentare le centrali elettriche.

In Iran oggi è tabù parlare di freni alla produzione di petrolio:  «Zanganeh non riuscirebbe in nessun modo a difendere il congelamento dell’output a livelli pre-sanzioni, né di fronte all’opinione pubblica, né di fronte al governo», fa notare Emma Richards di Bmi Research. Forse dietro le quinte Teheran sta ancora negoziando qualche possibile concessione, che le permetta di non perdere la faccia: se il prezzo del petrolio risale, potrebbe anche rallentare ad arte la ripresa dell’export potrebbe anche bastarle. Ma per arrivare a convincere l’Iran i sauditi, con cui non corre certo buon sangue, dovranno confezionare un accordo davvero appetibile, che preveda qualche contropartita. E farlo al più presto, perché nessuno può permettersi che il petrolio rimanga a lungo su questi livelli di prezzo.

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