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Se Riad rivede gli obiettivi

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PRIMO PASSO

Se Riad rivede gli obiettivi

  • –di DavideTabarelli

L'Arabia Saudita, il vero artefice del mercato petrolifero, ha deciso finalmente di muoversi, dopo oltre un anno e mezzo di non azione di fronte a prezzi crollati da 110 dollari a metà 2014 agli attuali 30. Non è ancora un'inversione di strategia, ma almeno riconosce che occorre frenare la produzione e che massimizzare ad ogni costo la sua quota è un obiettivo troppo costoso.L'accordo diieri con la Russia, Paese non Opec, prevede il blocco sui livelli di gennaio della produzione, non una sua riduzione, come sarebbe invece necessario per far ripartire i prezzi.

L'eccesso di offerta in questi giorni è dell'ordine di 1,5-2 milioni di barili al giorno, mentre, con una produzione ferma agli attuali livelli, l'equilibrio con la domanda arriverebbe solo fra un anno. Inoltre, l'accordo è condizionato alla partecipazione di altri produttori e quelli che più mancano sono gli altri grandi dell'Opec, Iraq ma soprattutto Iran. La produzione di Teheran, dopo le sanzioni del 2012, era scesa a 2,9 milioni di barili al giorno e, dopo la loro eliminazione lo scorso 16 gennaio, dovrebbe ora risalire verso quota 4. Questo incremento potenziale è quello che più teme Riad, non solo perché fa abbassare i prezzi, ma anche perché rafforza la leadership regionale del suo nemico Iran, di cui non si può più fare a meno in Siria e nel nord Iraq. La stessa determinazione con la quale Teheran vuole tornare ai livelli del 2012, è dovuta più a ragioni politiche che economiche, e un controllo della produzione sarebbe sufficiente per spingere Riad ad un'azione più incisiva. L'Iraq macina nuovi record di produzione a 4,4 milioni di barili al giorno, livelli mai raggiunti in passato. Nonostante ciò, con questi prezzi, è sull'orlo del collasso, visto che l'enorme apparato statale e militare iracheno ha spese che solo le entrate petrolifere possono coprire, mentre il resto dell'economia è praticamente inesistente, dopo il disastro della guerra. Anche in questo caso, un piccolo segno di limitazione dei ritmi estrattivi andrebbe nella direzione auspicata da Riad e avrebbe quegli effetti sulle entrate che sono indispensabili per evitare problemi di tenuta del Paese, soprattutto nel nord contro l'Isis.

La Russia, proprio un mese fa, aveva annunciato un nuovo record post sovietico di produzione a 11 milioni di barili al giorno, ma da mesi si stava dando da fare per trovare un accordo, in quanto è l'economia, al di fuori dell'Opec, che più soffre i bassi prezzi. Esporta metà della sua produzione petrolifera e prezza l'enorme export di gas, 200 miliardi di metri cubi all'anno, anche con le quotazioni del barile. L'accordo, non a caso, è per il blocco della produzione, anche perché tecnicamente i giacimenti della Russia non permettono, a differenza di quelli del Medio Oriente, di essere fermati. Il passato non depone a suo favore. Negli anni '80 e '90, l'Opec aveva in più occasioni cercato il suo aiuto, con scarsi risultati e con numerosi rifiuti, ma in questa occasione dimostra maggiore impegno.

I sauditi, che producono vicino ai loro massimi storici di 10,5 milioni di barili al giorno, sono i primi esportatori al mondo con 6 milioni, ma controllano ancora 2 milioni di capacità inutilizzata che potrebbe far piombare i prezzi a 10 dollari. Per il momento questa minaccia non ha avuto gli effetti sperati di tagliare la produzione di altri produttori, in particolare quella Usa, che dimostra una sorprendente resistenza a scendere, nonostante costi spesso superiori ai 50 dollari. Ora Riad, nel mostrare disponibilità a fermare il crollo, ha chiarito che non vuole prezzi verso i 100 dollari. Negli ultimi 50 anni, il suo obiettivo di fondo è sempre stato quello di prezzi a livelli stabili e bassi, tali che il mondo continui ad avere bisogno del suo petrolio, per evitare che, come un suo ministro efficacemente anticipò, finisca troppo presto l'era del petrolio e che le sue riserve, attese durare 70 anni, possano trasformarsi da oro nero a rocce nere senza valore.

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