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Il Brent «vede» quota 37 dollari, poi scattano le vendite

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Il Brent «vede» quota 37 dollari, poi scattano le vendite

L’Opec ha tagliato la produzione di petrolio di oltre 800mila barili al giorno. Si tratta di un taglio involontario e temporaneo, legato all’interruzione di due oleodotti, nel Kurdistan iracheno e in Nigeria. Ma potrebbe aver contribuito - insieme alla revisione al rialzo della crescita Usa - a incoraggiare ulteriormente gli acquisti sui mercati petroliferi.

Buona parte della seduta è trascorsa in deciso rialzo per il greggio: il Brent, per la prima volta dal 5 gennaio, si è addirittura spinto fino a 37 dollari al barile, uscendo dalla ristretta banda di oscillazione in cui era rimasto nelle ultime due settimane e rompendo una resistenza tecnica a 36,25 $ che secondo Abn Amro provocherà parecchie ricoperture nei prossimi giorni. Il Wti, arrampicatosi fino a 34,69 $, sembrava invece avviato al maggiore rialzo settimanale degli ultimi sette anni, intorno al 14 per cento.

Sul finale, alla vigilia del week end, sono intervenute prese di beneficio e le quotazioni del barile si sono un po’ afflosciate: il petrolio del Mare del Nord ha chiuso a 35,10 $ (-0,5%), il riferimento americano a 32,78 $ (-0,9.%).

Eppure nel frattempo erano intervenuti altri elementi rialzisti: negli Stati Uniti il numero delle trivelle alla ricerca di greggio è diminuito ancora, per la decima settimana consecutiva. Con la fermata di altri 13 impianti si è arrivati ad appena 400, il minimo da dicembre 2009. La cifra era stata identificata da diversi analisti come il traguardo finale, raggiunto il quale si sarebbe invertita la rotta. Ma tutto lascia pensare che invece la ritirata continuerà.

Parecchi produttori di shale oil stanno infatti gettando la spugna, dopo aver a lungo spremuto il più possibile dai pozzi, non fosse altro che per riuscire a pagare gli interessi sui debiti. Con il petrolio che stenta a risalire e il gas naturale che negli Usa è appena crollato ai minimi da 17 anni, una lunga serie di compagnie americane ha tagliato ulteriormente gli investimenti e indicato che nel 2016 la sua produzione calerà. Whiting Petroleum, il maggior produttore del North Dakota, addirittura smetterà del tutto di trivellare nuovi pozzi (si veda il Sole 24 Ore di ieri).

Persino Eog Resources - un tempo conosciuta come la «Apple dello shale» per la grande capacità di innovare, macinando profitti - ha chiuso l’esercizio in perdita, per la prima volta dal 1989: il rosso, di 4,5 miliardi di dollari , l’ha indotta a tagliare la spesa del 45-50%, prevedendo un calo di produzione del 5%. Apache avverte che l’output diminuirà del 7-11%, Continental Resources e Devon Energy si attendono un -10%.

I dati settimanali dell’Energy Information Administration (non sempre precisi) mostrano che la produzione di greggio negli Usa è ai minimi da ottobre, a 9,14 milioni di barili al giorno, con un declino che sta proseguendo senza interruzioni da cinque settimane.

Sul fronte Opec, il petrolio oggi sottratto dal mercato potrebbe impiegare qualche settimana a tornare. Fonti Reuters dicono che le riparazioni dell’oleodotto nigeriano Forcados - che avrebbe dovuto trasportare 249mila bg ma è fermo dal 21 febbraio per una falla - dureranno almeno fino ad aprile. Meno chiara la situazione per l’export di 600mila bg dal Kurdistan: la pipeline per Ceyhan, è stata interrotta dieci giorni fa «per ragioni di sicurezza» nel tratto turco, in un’area dove - dopo una tregua di oltre due anni - l’esercito di Ankara sta di nuovo combattendo contro i guerriglieri curdi del Pkk. La stessa Reuters indica che lo stop ai flussi di greggio potrebbe durare altre due settimane.

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