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Rcs, l’uscita degli Agnelli e il riassetto proprietario

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EDITORIA

Rcs, l’uscita degli Agnelli e il riassetto proprietario

Il gruppo Exor-Fca esce da Rcs Mediagroup dopo quarant’anni di presenza stabile tra le fila dei soci. Lo storico passaggio è la prima, immediata, conseguenza della nascita del nuovo gruppo editoriale frutto dell’integrazione tra Itedi e il gruppo L’Espresso (che controllano rispettivamente Repubblica e La Stampa-Il Secolo XIX), operazione che porta con sé anche il riassetto degli equilibri proprietari nel suo più diretto concorrente, la società che edita il Corriere della Sera. Come comunicato ieri nell’ambito dell’annuncio dell’asse editoriale tra la famiglia Agnelli e la famiglia De Benedetti, Fca distribuirà ai propri soci l’intera partecipazione detenuta in Rcs Mediagroup (16,7%). La mossa avviene in coerenza con la decisione di concentrarsi nelle attività automobilistiche. «Con questa operazione - afferma Fca in una nota - giunge a compimento il ruolo svolto, prima da Fiat e poi da Fca, per senso di responsabilità nel corso di oltre quarant’anni, che ha permesso di salvare il gruppo editoriale in tre diverse occasioni, assicurando le risorse finanziarie necessarie a garantirne l’indipendenza e quindi a preservarne l’autorevolezza».

In seguito al rinnovo del proprio cda, oggi Rcs Mediagroup dispone di una leadership chiara - si legge nella nota - e di un piano industriale che stabilisce gli obiettivi al 2018 «la cui realizzazione è già iniziata con buone evidenze sull’andamento dell’anno
in corso».

La Rcs che vede impegnato il suo primo azionista in un’altra partita editoriale con un diretto concorrente. Il richiamo a Rcs non è casuale. L’editore del primo quotidiano italiano assomma su di sé e amplifica tutte le criticità del settore della stampa italiana che vive ormai da anni una crisi strutturale che fatica a trovare soluzioni. Il settore, documenta R&S Mediobanca, ha perso dal 2010 al 2014 un terzo dei suoi ricavi, circa 2 miliardi in 5 anni. Le perdite cumulate hanno eroso il capitale: il patrimonio netto aggregato dei primi 8 gruppi editoriali italiani segna un -42% con una contrazione per ben 1,4 miliardi. Se questo è il quadro generale di un settore al bivio tra decadenza (caduta di copie cartacee e pubblicità) e riscatto con la nuova frontiera del digitale, Rcs mostra più degli altri indicatori economico-finanziari preoccupanti.

Rcs ha infatti visto una caduta dei ricavi molto più accentuata del settore. Nel 2010 Rcs fatturava 2,2 miliardi, scesi a 1,28 miliardi nel 2014 e a poco più di 1 miliardo a fine 2015. Un calo di ben oltre il 50% del suo fatturato. La drastica caduta del fatturato è stata contrastata come per tutto il settore da un taglio dei costi, che però non è bastato. Le perdite infatti si sono cumulate a un ritmo senza tregua: dall’avvio della crisi il gruppo ha cumulato perdite nette per 1,4 miliardi. Un’emorragia che ha molte cause, ma che vede soprattutto nelle pesanti svalutazioni della dispendiosa campagna di shopping in Spagna uno dei contributi chiave. Solo dalle rettifiche sui prezzi pagati per la campagna iberica Rcs ha visto perdite per oltre 700 milioni.

Perdite così ampie hanno intaccato il capitale e allargato la forbice con i debiti finanziari. Rcs aveva nel 2010 debiti finanziari pari al capitale netto. Oggi il debito finanziario netto a 487 milioni, vale ben 3 volte il patrimonio e ben 7 volte il margine lordo. E questo nonostante un aumento di capitale da 400 milioni nell’estate del 2013. Ora il nuovo management confida in un piano industriale che dovrebbe portare il Mol al 13% del fatturato, all’utile netto, a cash flow positivo e a un livello di debito sul Mol che scenderà prima a 4 volte e poi a 2 volte a fine piano. Piano ambizioso che esclude un nuovo aumento di capitale per i soci, aumento su cui premevano le banche esposte.

Quanto invece a La Stampa anche qui la famiglia Agnelli via Fiat ha dovuto aprire il portafoglio. Sono stati versati in conto capitale a Itedi, l’editrice de La Stampa, ben 105 milioni tra il 2012 e il 2013. Iniezione di capitali necessari a fronte delle perdite per oltre 90 milioni che il giornale ha subito in quel biennio. Anche il giornale torinese soffre sui ricavi: scesi di 30 milioni su 137 negli ultimi 5 anni. Ma nel 2014 ultimo bilancio disponibile si è rivisto un piccolissimo utile e soprattutto ora la società appare più che solida sul fronte patrimoniale con capitale per 19 milioni e debiti finanziari per solo 4 milioni. Almeno su questo fronte a Torino si dorme tranquilli.

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