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Sui mercati il rischio sistemico torna a salire (nonostante l’euforia…

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Sui mercati il rischio sistemico torna a salire (nonostante l’euforia dei giorni scorsi)

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L’euforia con cui le Borse hanno accolto la manovra della Bce potrebbe sembrare di buon auspicio. Eppure proprio questa esuberanza, la stessa che da anni segue tutte le banche centrali, potrebbe essere il problema del futuro.

L’effervescenza delle Borse rischia infatti di diventare, presto o tardi, l’effetto collaterale delle politiche monetarie ultra-espansive.

Tutti sono portati a guardare le banche con apprensione: quelle italiane perché sono piene di crediti deteriorati, quelle tedesche perché sono imbottite di derivati fino ai denti, quelle americane perché hanno foraggiato di credito le traballanti società petrolifere. Ma in realtà, dopo anni di regolamentazioni ferree e di aumenti di capitale, non sono probabilmente più le banche il problema del mondo. Oggi i rischi sistemici si trovano invece dove nessuno se li aspetta: in quei mercati finanziari che non perdono occasione di festeggiare per le innumerevoli manovre monetarie ultra-espansive. Ecco perché.

Elefantismo finanziario
Il primo motivo per guardarli con apprensione è legato alle loro dimensioni. I derivati valgono, nel mondo, 553mila miliardi di dollari secondo i dati della Bri. I mercati azionari capitalizzano 60mila miliardi di dollari. Quelli obbligazionari, sempre secondo la Bri, ammontano a 86mila miliardi di dollari. Mettendo questi numeri insieme, si arriva a 699mila miliardi di dollari: 9 volte più del Pil del mondo intero. È vero che i derivati sono calcolati al lordo, e questo gonfia il numero, ma il punto resta: si tratta di mercati enormi, giganteschi, molto più grossi di quell’economia reale di cui dovrebbero essere emanazione.

Questo dà ai mercati finanziari, che sono globali e dunque poco addomesticabili con leggi nazionali, un potere enorme sull’economia reale. Tutte le ultime recessioni economiche sono infatti nate da loro. Fu la crisi dello spread di fine 2011 a gettare l’Italia nel tunnel dal quale a fatica usciamo solo ora. Fu la crisi dei mutui subprime e di Lehman Brothers a causare la frenata economica globale del 2009. E così via. I mercati, insomma, hanno rovesciato la regola che viene insegnata in tutti i manuali: non sono più loro a seguire i fondamentali economici, ma sono i fondamentali economici a seguire - nel bene e nel male - i mercati. Il punto è che il gigantismo è stato in parte causato, negli ultimi anni, proprio dalle politiche monetarie ultra espansive.

L’era glaciale degli scambi
Le dimensioni sarebbero meno preoccupanti se non fossero associate ad altri problemi. Uno di questi è la crescente automazione: i mercati sono sempre più dominati da algoritmi, che esasperano la volatilità nel breve. L’altro problema è la sempre maggiore illiquidità. Sembra paradossale, ma nell’era della grande liquidità creata dalle banche centrali, i mercati (soprattutto quelli obbligazionari) sono diventati illiquidi. Questo significa che la stragrande maggioranza dei bond (a partire da quelli aziendali) non viene mai scambiata: le aziende li emettono, gli investitori li comprano e poi li congelano nei loro portafogli. Prima della crisi - stima Rbs - ogni giorno il 14% del totale mercato dei bond aziendali passava di mano da un investitore all’altro, mentre ora i volumi di scambio medi giornalieri sono scesi al 4%.

Questo fenomeno non è casuale, ma è l’effetto delle normative partorite dopo la crisi del 2008. Una volta erano le grandi banche d’affari a movimentare il mercato secondario dei bond, facendo la cosiddetta attività di «market making»: intermediavano tra venditori e acquirenti e garantivano la liquidità. Ora le nuove normative, studiate per rafforzare le banche, rendono l’attività di «market making» costosa in termini di capitale. Così in pochi la svolgono. E sul mercato secondario dei bond aziendali (e non solo) è iniziata l’era glaciale.

Questo rappresenta un rischio per vari motivi. Il primo è legato al fatto che in un mercato illiquido è difficile vendere un titolo: se dovesse scattare il panico per qualunque ragione, si verificherebbe un congelamento totale. I fondi potrebbero fare dunque fatica a soddisfare eventuali richieste di riscatto da parte dei sottoscrittori. Un mercato illiquido è come un cinema con le porte bloccate: se scoppia un incendio, diventa difficile scappare. Il secondo motivo di preoccupazione è legato al fatto che, proprio per questo problema sui bond, quando ci sono momenti di paura le vendite finiscono per scaricarsi tutte e violente sull’unico mercato davvero liquido: quello azionario. La volatilità delle Borse è anche legata a questo. Morale: anche in questo caso le normative internazionali create per rendere il mondo più sicuro hanno, come effetto collaterale, prodotto un problema nuovo. E potenzialmente dirompente.

«Too big to fail»
Allo stesso modo si è sviluppato il rischio sistemico in capo alle cosiddette «controparti centrali»: per effetto delle regole varate dopo il 2008. Si tratta di soggetti che, in base alle nuove norme, si trovano a garantire il buon esito delle operazioni sui derivati. Dopo il crack di Lehman Brothers, che era controparte di molte operazioni in derivati, si è infatti pensato di mettere dei soggetti terzi a garantire il mercato. Le controparti centrali sono dunque quei soggetti che assicurano un’operazione in derivati, qualora una delle due banche contraenti dovesse fallire.

L’intenzione è buona, ma il rischio è di averle trasformate nei nuovi soggetti «troppo grandi per fallire». È vero che loro, per ridurre i rischi, utilizzano un sistema di “margini”: di fatto chiedono ad ogni partecipante del mercato una sorta di “deposito precauzionale” che serve per coprire fino a un certo punto eventuali perdite sul derivato. Ma proprio le dimensioni mastodontiche del mercato dei derivati, e il fatto che le controparti centrali siano solo una quindicina al mondo, le rende comunque vulnerabili. È lo stesso Fondo monetario a lanciare l’allarme: «I crescenti volumi di transazioni garantiti dalle controparti centrali, soprattutto sui derivati fuori-borsa, rendono molto importante che il rischio sia ben gestito - si legge in un report recente -. A nostro avviso le regole attuali in parte affrontano il problema, ma ulteriori misure sono necessarie per ridurre il rischio sistemico».

Insomma: le politiche monetarie varate per risollevare le sorti del mondo e le normative prudenziali create per ridurre i rischi globali hanno prodotto numerosi effetti collaterali. Hanno prodotto, in seno ai mercati finanziari, nuovi potenziali rischi sistemici. Che andrebbero affrontati.

m.longo@ilsole24ore.com

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