Finanza & Mercati

«Gli investitori dicono sì alla fusione Banco-Bpm»

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L'inTERVISTA

Davide Serra: «Gli investitori dicono sì alla fusione Banco-Bpm»

«Gli investitori istituzionali internazionali e il mercato vedono con grande favore la fusione in Italia tra Bpm e Banco Popolare e trovo incomprensibile l’approccio della vigilanza bancaria europea che tergiversa sull'operazione. In caso di bocciatura dell’aggregazione, temo seri rischi di sistema per le banche più fragili in Italia, da Mps a Carige, fino alle due popolari venete che devono chiedere capitali al mercato per quotarsi in Borsa nelle prossime settimane».

Davide Serra, fondatore e numero uno di Algebris Investments, uno dei più noti e influenti investitori istituzionali d’Europa, appare contrariato ma purtroppo non sorpreso dall'atteggiamento sostanzialmente anti-mercato del Single Supervisory Mechanism (Ssm) guidato dalla francese madame Danielle Nouy e dalla sua potentissima vice tedesca Frau Sabine Lautenschlager, cui è affidata la guida della vigilanza europea delle principali 130 banche del continente.

Da due mesi il progetto di fusione tra Bpm e Banco è sotto esame preventivo della vigilanza della Bce. Da investitore, che valutazione può dare?
Considero l’operazione molto positiva. Sarebbe la prima fusione post-riforma tra due banche popolari in Italia. Un merger destinato a generare importanti sinergie di costo, indispensabili per migliorare la redditività di un sistema che deve per forza ristrutturarsi per essere competitivo.

Le banche italiane non sono competitive?
Il sistema bancario è e sarà fondamentale per l’economia italiana, ma deve fronteggiare con ritardo la sfida della digitalizzazione che ovunque nel mondo ha trasformato il business. I dati dicono che in Italia, in proporzione agli abitanti, esistono più sportelli bancari che farmacie o ristoranti. Ancora: le filiali sono superiori del 50% a quelle della media europea. E quelle europee superano del 50% la media Usa. In questo scenario, l’unica strada da percorrere per le banche in Europa e in Italia è di aumentare le dimensioni e ridurre i costi. Meno banche, meno consiglieri di amministrazione, meno vecchi politicanti locali nei cda. Gli investitori non vedono l'ora che ciò avvenga. E la fusione tra Bpm e Banco Popolare va in questa direzione.

Il tema della governance pare sia stato vagliato da Bce ma superato, dopo le iniziali richieste localistiche delle due popolari. Ora il nodo sembra solo quello dei crediti in sofferenza e delle coperture. Con possibile impatto sul capitale. Che ne pensa?
Credo che sia incredibile. È un approccio poco lineare. La vigilanza europea dell’Ssm ha condotto prima gli esami di asset quality review e di stress test e poi gli Srep. Sia Bpm che Banco Popolare hanno superato tutti i test europei. Ora le due banche decidono di fondersi, generando sinergie. E chi vigila ha dubbi? È illogico. E genera incertezza sul mercato.

Teme ripercussioni sul sistema bancario italiano?
Un no immotivato creerebbe seri problemi a tutte le banche italiane più fragili. Penso a Mps e Carige, cui lo stesso Ssm ha chiesto di procedere a un'aggregazione. Ma a quali condizioni? Il benchmark di riferimento diventerebbe quello “immaginifico” della mancata fusione tra Bpm e Banco? Per non parlare dei casi di Popolare Vicenza e Veneto Banca, che dovrebbero affrontare aumenti di capitale e quotazione a condizioni ancora più proibitive di quelle di oggi.

C’è il rischio che la riforma delle popolari imposta dal Governo Renzi, che in più occasioni anche lei ha sostenuto, non produca gli effetti attesi in tema di aggregazioni?
La riforma che ha imposto la trasformazione in Spa alle maggiori popolari è stata determinante e, in alcuni casi, salvifica nell’era del bail in. Basti pensare alle due popolari venete non quotate. Senza la Spa e la quotazione in Borsa, chi poteva candidarsi a sottoscrivere gli aumenti di capitale necessari per il salvataggio? Il problema è che una riforma che è stata chiesta da anni da Bce, Ue e FMI ora rischia di trovare un ostacolo a livello di vigilanza europea nella sua implementazione principale, che è quella delle aggregazioni necessarie a rafforzare e rendere più redditizie le ex popolari.

L'impressione è che da investitore globale sia molto preoccupato dalle scelte della vigilanza bancaria europea. È così?
L'obiettivo dell’Ssm dovrebbe essere la stabilità del sistema bancario europeo. Invece stanno indirettamente creando instabilità. È un fatto, non un’opinione. Aggravato da vari difetti di comunicazione: dalla mancata disclosure del “pillar 2” dell'anno scorso, ai problemi sugli strumenti ibridi, alle incertezze sulle ispezioni continue sui bad loans fino ai veti inspiegabili alla fusione tra due banche che loro hanno giudicato sane.

Siamo davanti ai “talebani di Basilea”, come li chiamano i più critici contro l'Ssm?
Diciamo che sono affetti da una sorta di “sclerosi regolamentare”. Il G20 ha chiesto di non aumentare il capitale nel sistema bancario e vuole capire le conseguenze indirette delle decisioni di regolamentazione sull'economia reale. Ritengo che l'SSM debba scendere dalla “torre di cristallo” per capire l'impatto delle decisioni prese. Questo è il compito del Parlamento Europeo a cui SSM e BCE rispondono. Il Commissario Hill di recente lo ha fatto capire molto bene. Spero che continui, affinché si abbia un SSM al servizio della stabilità e non una burocrazia fine a se stessa. In Europa, e in Italia, ce ne è già troppa.