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Una prova d’esame anche per la Vigilanza Unica

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l’analisi

Una prova d’esame anche per la Vigilanza Unica

  • –di DonatoMasciandaro

Due banche italiane di rilevanza europea hanno avviato un progetto di fusione, sotto la supervisione della vigilanza unica. L'operazione di fusione è un banco di prova sia per i controllati che per il controllore; è la prima volta che l'organismo guidato da Danièle Nouy si sta trovando a gestire una procedura di tale rilevanza.

Per cui è fondamentale che l'azione dell'organismo di controllo sia conforme alle migliori prassi. La politica sulle fusioni bancarie – e in generale l'azione di vigilanza - non deve essere né discrezionale né ciclica; deve essere invece disegnata su regole generali, flessibili e trasparenti. Ne va della stessa credibilità del supervisore, che è requisito necessario perché la sua azione sia efficace, soprattutto se il supervisore è neonato, e convive sotto lo stesso tetto di chi decide la politica monetaria europea, cioè Mario Draghi.

L'importanza che il giudizio sull'operato del supervisore unico sia positivo è evidente se si pensa a quello che abbiamo imparato all'indomani della Grande Crisi iniziata nel 2008 e che va applicato quando si ragiona di fusioni e acquisizioni.

La Crisi ha costretto a ripensare il disegno della vigilanza bancaria, partendo dalle ragioni di fondo che impongono di pensare a regole particolari quando ci si occupa di banche. La ragione è semplice: le scelte dei manager bancari sono speciali, in quanto possono non essere coerenti con la tutela di un bene pubblico, che è quello della stabilità bancaria.
Quando disegna una fusione, il manager di una banca può avere obiettivi che entrano in conflitto con quello dei propri azionisti; questo però accade anche in altri settori. Ma quello che è specifico dell'industria bancaria è che i comportamenti dei manager possano causare distorsioni in grado di pregiudicare la sana e prudente gestione dell'intermediario, e a catena dell'intero sistema dei pagamenti e del credito. Dunque, dopo la Crisi, esiste un generale consenso su almeno quattro punti.

In primo luogo che la regolamentazione bancaria debba tutelare la fiducia nel sistema – per cui la possibilità che un fallimento bancario possa provocare una crisi sistemica deve essere azzerata – attraverso regole riguardanti la fisionomia delle banche in termini di capitale, liquidità e assetto della proprietà e del controllo. I tre pilastri vanno considerati congiuntamente, evitando paranoiche ossessioni – o preoccupanti dimenticanze – per ciascuno di essi.

In secondo luogo tali regole devono essere flessibili; l'idea è che definire livelli costanti e caratteristiche predeterminate nel disegno delle normative aumenta i rischi di inefficacia e di inefficienza del controllo pubblico.

In terzo luogo, e di riflesso, la vigilanza sugli intermediari assume un ruolo complementare e attivo rispetto a quello della regolamentazione. In quarto luogo, e sempre di conseguenza, il tema delle regole flessibili deve caratterizzate anche la vigilanza.
Infatti, se il fine ultimo della regolamentazione – e quindi della vigilanza – è quello di stabilizzare la fiducia nel sistema, anche le azioni del controllore devono tendere a stabilizzare i comportamenti. Il controllore deve essere credibile. Per cui le azioni di vigilanza devono essere inserite un sistema di regole, che siano tra loro coerenti. La coerenza diventa condizione necessaria, ancorché non sufficiente, di credibilità della politica di vigilanza.

Applicata al tema delle fusioni, la coerenza implica innanzitutto linearità dei giudizi, in senso orizzontale – nel tempo – verticale – tra intermediari – e longitudinali, attraverso diverse metodologie. Nel sistema di supervisione americano, ad esempio, ciascuna banca è sottoposta a giudizi pubblici – gli stress test – e a giudizi riservati – rating – con cadenze regolari, e sapendo che le stesse metodologie verranno applicate orizzontalmente a intermediari omogenei. Se in questa griglia di monitoraggio in una banca vengono rilevati aspetti problematici, la stessa possibilità di avviare operazioni di fusioni o acquisizioni viene esclusa. Il supervisore rende conto della sua azione, in tempi e modi che non devono pregiudicarne l'indipendenza, dalla politica come dalle banche.

È la stessa coerenza sempre assicurata dal nascente sistema di supervisione europeo? Non sembrerebbe, visto che, proprio nell'operazione che sta impegnando la Banca Popolare di Milano, il Banco Popolare e la Vigilanza Unica, più di una analista ha rilevato tratti incoerenti, ondivaghi, o quantomeno opachi, nell'operato del supervisore. E non è la prima volta; in quante occasioni le scelte di Francoforte hanno già creato polemiche, osservando discriminazioni, vere o presunte, tra banche di nazionalità diverse, o con caratteristiche diverse, compreso il modello di business? Ed ogni volta ad essere messa in dubbio è la “distanza di braccio” della vigilanza dalle banche, o dalla politica, o dal combinato disposto delle due possibili fonti di “cattura” dei vigilantes bancari.

Ma avere un operato ambiguo è un lusso che il Supervisore Unico non può permettersi, per almeno due ragioni. In primo luogo proprio perché l'ambiguità azzoppa la credibilità di un vigilante bancario; e se il vigilante è appena nato, la zoppia pesa due volte. In secondo luogo, i deficit di credibilità della vigilanza nuocciono alla reputazione della Banca centrale europea (Bce), avendo preso l'Unione la (rischiosa) scelta di allocare presso la stessa istituzione sia le responsabilità di vigilanza che quelle di politica monetaria. Per cui, gli eventuali errori della Nouy vengono pagati anche da Draghi; anche questo è un lusso che la Bce, ma soprattutto l'Unione, non si può permettere, soprattutto di questi tempi.

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