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Per l’oro il miglior trimestre da trent’anni

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Per l’oro il miglior trimestre da trent’anni

Erano trent’anni che l’oro non metteva a segno un trimestre come questo: tra gennaio e marzo il metallo prezioso si è apprezzato di circa il 16%, il rialzo più forte dal 1986, guarda caso un altro periodo in cui il petrolio era crollato per effetto di una guerra dei prezzi avviata dai sauditi.

Il declino delle quotazioni aurifere nel 2015 (-10,4%) è stato ormai più che cancellato, anche se il record storico di settembre 2011 - oltre 1.920 dollari l’oncia - è ancora molto lontano: il lingotto ieri scambiava poco sopra 1.230 $, dopo aver raggiunto l’11 marzo un picco di 1.282,51 $ sul mercato spot londinese, il massimo da un anno.

L’improvvisa risalita dell’oro ha sorpreso anche gli osservatori più esperti: solo a dicembre i prezzi, al terzo anno consecutivo di declino, erano affondati sotto 1.050 $, a livelli che non si vedevano dal 2010. Dei 31 analisti sondati a inizio anno dalla London Bullion Market Association 22 avevano indicato possibili puntate oltre quota 1.200 dollari, ma solo due avevano previsto un prezzo medio superiore a tale soglia: James Steel di Hasbc (1.205 $) e Joni Treves di Ubs (1.225 $). La previsione media per l’anno era 1.103 $/oncia.

Poi sui mercati finanziari è scoppiato il finimondo. La tempesta che ha travolto le borse - in modo del tutto inatteso e difficilmente giustificabile - ha indotto gli investitori a rivalutare il ruolo di bene rifugio del metallo giallo, spingendoli a riacquistare a piene mani gli Etf che per molti mesi avevano subito un flusso continuo di riscatti: nei primi tre mesi dell’anno, calcola Bloomberg, il patrimonio complessivo è aumentato di oltre il 20%, superando 1.760 tonnellate, l’incremento più grande dal primo trimestre 2009. Al Comex intanto il volume di scambi ha superato 14 milioni di contratti, un record assoluto.

Un ruolo chiave nel risollevare le sorti dell’oro l’ha avuto la Federal Reserve: il suo approccio sempre più prudente, ribadito ancora questa settimana dalla presidente Janet Yellen, ha contribuito a rilanciare le quotazioni del metallo, così come in precedenza l’attesa di una stretta monetaria negli Usa era stato un potente fattore ribassista. Il dollaro, che di solito è inversamente correlato all’oro, è ai minimi da cinque mesi rispetto a un paniere delle principali valute.

Dopo un avvio di anno col turbo, non tutti sono comunque convinti che l’oro abbia ancora abbastanza fiato per correre. Non appena una relativa quiete è tornata sui mercati, gli investitori speculativi hanno cominciato a temperare lo spirito rialzista. Al Comex le posizioni corte (alla vendita) stanno crescendo da sette settimane consecutive e gli ultimi dati Cftc le danno a 84.022 contratti, un record almeno dal 2006, quando le statistiche hanno iniziato ad essere pubblicate nella forma attuale. Le posizioni nette lunghe nella settimana al 24 marzo sono calate del 9,9% a 31.653 contratti, il minimo da dicembre 2013. Su base settimanale anche il patrimonio degli Etf sull’oro è calato per tutto il mese di marzo.

«Crediamo che il recente rally si dimostrerà di breve durata», affermano gli analisti di Gfms Thomson Reuters nel Gold Survey 2016, prevedendo che l’oro ripiegherà sotto 1.200 dollari nei prossimi mesi, «una volta che la turbolenza sui mercati inizierà a venire meno». Benché in modo graduale, la Fed finirà comunque con l’alzare i tassi, argomenta la società di ricerca, che comunque ritiene che nel lungo periodo l’oro potrebbe trovare supporto nei fondamentali: la produzione mineraria, dopo sei anni consecutivi di crescita, si è fermata nella seconda parte del 2015.

Le incognite per il futuro riguardano soprattutto la domanda fisica: l’anno scorso è calata, anche se solo del 2%, perché a compensare i minori acquisti di gioielleria (soprattutto in Cina) sono intervenute le banche centrali. Gli acquisti netti del settore ufficiale hanno raggiunto 483 tonnellate nel 2015, sottolinea Gfms, il secondo risultato dalla fine del Gold Standard (il record era di 544 tonnellate nel 2012). A guidare l’aumento delle riserve è stata la Russia, con ben 206 tonnellate. Altri produttori di petrolio, come il Venezuela, la Colombia e il Canada, hanno tuttavia venduto oro.

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