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«Ubi Banca, nessun progetto di fusione»

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Massiah: «Ubi Banca, nessun progetto di fusione»

Sul tavolo di Ubi, oggi, non c’è nessun dossier aperto relativo a possibili aggregazioni. Ma la banca lombarda, che ieri ha rinnovato il Consiglio di Sorveglianza confermando di fatto il gruppo uscente (e Andrea Moltrasio alla presidenza) pur con il supporto solo della minoranza del capitale sociale, non esclude nulla. Neppure di partecipare al (potenziale) consolidamento del settore bancario. A due condizioni chiare e precise, però, spiega a Bergamo l’a.d. Victor Massiah al termine dell’assemblea dei soci: che l’ipotetica aggregazione «crei valore» e che sulla governance non ci siano «costruzioni bizantine».

Anche perchè, è il senso del discorso di Massiah, la banca può stare da sola senza problemi. «La nostra solidità non è messa in discussione», dice il manager ricordando che «non a caso leggiamo di ipotesi di nostri coinvolgimenti di problematiche di altri attori bancari». Un riferimento indiretto a Mps, dossier che rimane in cima alla lista delle urgenze del sistema bancario italiano. L’istituto senese ha una «sproporzione tra dimensione delle sofferenze e la dimensione del capitale, il Texas ratio», aggiunge Massiah. Quindi o si trovano soluzioni innovative «per alleggerire gli npl o bisogna agire sul denominatore». La banca toscana, che è alla ricerca di un cavaliere bianco, doveva rientrare in uno schema di fusione - gradito al Governo - che coinvolgeva la stessa Ubi e Bpm. Ma quell’ipotesi è sfumata, come dimostra il fidanzamento di Bpm con il Banco.

Il piano industriale
Ecco perchè oggi in casa Ubi si pensa anzitutto alla «nostra redditività, che sicuramente ha margini di miglioramento», dice il manager. Ed ecco perchè ieri è arrivato l’annuncio dell’apertura di un cantiere relativo al piano industriale,che sarà presentato al mercato entro il primo semestre. L’obiettivo è «riorganizzare sia il modello organizzativo che distributivo». A distanza di cinque anni dal piano precedente, oggi Ubi torna a pianificare «perchè oggi c’è un orizzonte abbastanza chiaro» sui tassi di interesse del prossimo triennio e quindi «è giunto il momento di farlo», aggiunge il manager. Le condizioni non sono certo positive, per una banca retail come Ubi. Tassi bassi fanno da cornice a uno scenario in cui il peso dei crediti problematici per il settore è opprimente. Ma forse «proprio per questo è giunto il momento di farlo, in condizioni ambientali conservative che ci consentono di innovare». Focus, quindi, sulle nuove tecnologie per sperimentare nuovi canali distributivi. Ma tra i piani del management c’è anche di procedere con il varo della banca unica e l’addio al modello federale. «Confermo che c’è una volontà molto forte» di andare avanti sulla strada del cosiddetto “bancone”, spiega il presidente del Cds Andrea Moltrasio. Il riassetto societario dovrà tener «presente altri aspetti soft come i clienti, la cultura, i marchi», aggiunge Moltrasio. E soprattutto non potrà essere fatto in assenza di «un accordo sull’acquisto delle minorities» di Banca Regionale Europea e Banca Popolare Commercio Industria, come spiega Massiah.

La prevalenza dei fondi
Il manager evoca la necessità di una discontinuità alla «Fosbury» (in riferimento all’atleta che rivoluzionò la tecnica del salto in alto, scavalcando l’asticella rovesciando il corpo all’indietro e cadendo sulla schiena) per il futuro della banca. E che serva una «discontinuità evidente» lo riconosce a caldo anche lo stesso Moltrasio dopo l’esito del voto assembleare sul rinnovo del Consiglio di Sorveglianza, il primo realizzato da Ubi nella forma di Spa. In un’assise contrassegnata dalla presenza di 1834 presenze fisiche (3401 presenze totali, il 48,94% del capitale) a prevalere con il 51,1% dei voti sono stati i fondi di investimento. I quali, tuttavia, hanno votato in massa per la lista di minoranza depositata dalle Sgr e da Assogestioni, che proponeva tre soli candidati per il board. Al listone di maggioranza è andato invece il 48% circa dei voti capitale, grazie al supporto dell’anima bresciana dei soci (Sindacato Azionisti Ubi Banca), di quella bergamasca (Patto dei Mille) e della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo. L’asse Brescia-Bergamo-Cuneo, avendo presentato una lista per la presidenza con 15 membri, si è aggiudacata gli altri 12 del Cds, incluso presidente e vicepresidenti. L’esito solo in apparenza paradossale - e previsto dagli addetti ai lavori - certifica l’identità di public company della nuova Ubi Spa. Realtà dove - l’ultimo è stato il caso di UniCredit – i fondi di investimento presentano liste volutamente di minoranza, con un numero di candidati ristretto e senza ambizioni di governo. Ma così facendo, rappresentano un pungolo per gli amministratori. «È il segnale di una presenza forte e autorevole - spiega il presidente del Consiglio di Gestione, Franco Polotti - che noi pensiamo possa essere molto costruttiva e uno stimolo per fare molto bene».

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