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Il fondo Atlante salverà davvero le banche? I quattro dubbi da chiarire

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LA RETE DI SICUREZZA

Il fondo Atlante salverà davvero le banche? I quattro dubbi da chiarire

Se da un lato tutti gli addetti ai lavori riconoscono che il progetto Atlante va nella giusta direzione, dall'altro hanno capito che non sarà l'Arca di Noé in grado di salvare il sistema bancario dalla bufera di Borsa. Al massimo può essere la scialuppa di salvataggio per le due banche venete in crisi. Tanti sono infatti i punti interrogativi che riducono, nella percezione attuale degli addetti ai lavori, la portata salvifica del piano del Governo: le scarse risorse messe in campo dal progetto Atlante, l'effettiva capacità della riforma del diritto fallimentare di accorciare i tempi di recupero dei crediti deteriorati, l'impatto sociale di queste riforme.

Valori troppo piccoli
La prima incognita sta proprio nei numeri. Se anche il fondo Atlante raggiungesse l'obiettivo di una dotazione di 6 miliardi di euro, la sua potenza di fuoco non sarebbe enorme. Attualmente si parla di un 70% dedicato agli aumenti di capitale: se così fosse, questo lascerebbe solo briciole per i crediti deteriorati. Se invece alle ricapitalizzazioni fossero destinati solo i 2,5 miliardi circa necessari per Veneto Banca e per la Popolare di Vicenza, il fondo avanzerebbe più risorse per agire sui crediti in sofferenza. Ma comunque al massimo arriverebbe a 3,5-4 miliardi.

Il fondo opererà con una sorta di effetto leva, dato che probabilmente acquisterà le trance junior delle cartolarizzazioni di crediti deteriorati. Con 3,5 miliardi potrebbe dunque favorire lo smobilizzo di crediti per una cifra intorno ai 15-20 miliardi. Se così fosse, non si tratterebbe di un numero piccolo per le banche in crisi. Ma se così non fosse, come teme il mercato quando legge che il 70% del fondo sarà dedicato agli aumenti di capitale, allora il numero verrebbe ridimensionato. In ogni caso non si tratta di valori in grado di cambiare la storia. «Questa operazione - lamenta un operatore di Borsa - è troppo limitata per risolvere il problema dei crediti deteriorati».

I tempi della giustizia
L'altra gamba dell'intervento del Governo, ritenuta importantissima da tutti, è quella relativa ai tempi necessari per recuperare i crediti inesigibili. Il Governo è intervenuto (in passato e promette di farlo ulteriormente) per ridurli, dato che attualmente una procedura fallimentare in Italia dura 7,8 anni. Questo sforzo è positivo, perché più si riducono i tempi della giustizia più i crediti deteriorati aumentano di valore. Calcola Mediobanca Securities che per ogni due anni di accorciamento dei tempi di recupero, il valore attualizzato dei crediti in sofferenza aumenta del 10-12%.
Bene. Ma basta una riforma del diritto fallimentare per ridurre davvero i tempi di recupero dei crediti? «In Italia è il sistema che non funziona, non la legge - osserva Angelo Bonissoni dello studio Cba -. La legge può essere modificata per ridurre le storture, ma se ci sono i Tribunali intasati di pratiche e carenti di personale il problema non viene risolto». Del resto già oggi, a parità di legge, le procedure nei Tribunali della Basilicata durano 12,2 anni e in quelli del Trentino 5 anni: questo significa che in alcune Regioni il problema non è la legge.

Escussione delle garanzie
Il Governo sta anche valutando se permettere alle banche di escutere le garanzie (immobili e capannoni) senza passare dalle aste, che deprimono il prezzo. Oggi è vietato. Questo da un lato velocizzerebbe i tempi e salvaguarderebbe il valore delle garanzie stesse, dall'altro potrebbe però creare alcuni effetti collaterali. Il primo - sottolinea un banchiere - per gli istituti di credito stessi: «Le banche sanno gestire capannoni industriali difficili da vendere o case in quartieri dove non c'è mercato?». Il secondo è sociale: «Che impatto ha l'escussione veloce soprattutto sulle famiglie? - si chiede Bonissoni -. L'impatto sociale fino ad oggi è stato mitigato dalla lunghezza delle procedure, ma un domani potrebbe aumentare. Il rischio è che, prima o poi, bisognerà studiare altre forme di ammortizzatori sociali».

L'impatto delle Gacs
Altro tema caldo è se le Gacs, cioè le garanzie statali sulle cartolarizzazioni di crediti in sofferenza, riusciranno davvero ad aumentare il valore di mercato dei crediti stessi. «Per ora - osserva Paolo Strocchi di Fbs, società attiva nel settore - l'impatto sembra davvero marginale: i prezzi attualmente proposti dai fondi interessati ad acquistare i crediti non si discostano più di tanto da quelli precedenti alle Gacs». Vero è, sottolinea Strocchi, che queste garanzie ancora devono essere usate, per cui la prova del nove ancora manca.
m.longo@ilsole24ore.com

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